Roma
6:01 pm, 9 Novembre 18 calendario

Raggi, il pm chiede una condanna a 10 mesi

Di: Redazione Metronews
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Per Virginia Raggi la Procura ha chiesto la condanna a 10 mesi di reclusione (con la concessione delle attenuanti generiche) per falso ideologico in atto pubblico in relazione alla nomina alla Direzione Turismo di Renato Marra, con la “regia” del fratello Raffaele che era capo del Personale in Campidoglio. Quello dell’allora suo braccio destro non era “un ruolo compilativo o di chi meramente eseguiva in modo pedissequo quanto deciso dalla sindaca”. Quello di Marra senior – hanno evidenziato il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall’Olio in una requisitoria di circa un’ora – era un ruolo concreto svolto sin dalla fase istruttoria con la predisposizione del bando dell’interpello dell’ottobre 2016. Per i magistrati “ci sono elementi chiari, univoci e concordanti per sostenere che Virginia Raggi fosse assolutamente consapevole di quanto fatto in questa vicenda da Raffaele Marra: è lui (ma la sindaca sapeva) a mettere la manina con il nome di suo fratello, che a pochi minuti dalla scadenza dell’interpello presenta così la sua candidatura alla Direzione Turismo dopo aver ricevuto una telefonata dall’assessore al Commercio Adriano Meloni che gli fa (in anticipo) i complimenti. Poi per colpa dei soliti giornalisti probabilmente informati da qualche dirigente inalberato la sindaca si infuria sulla storia dell’aumento stipendiale di Renato Marra. E improvvisamente tutto quello che Raffaele aveva fatto fino a quel momento, prima come vicecapo di gabinetto vicario del sindaco nell’estate del 2016 e dopo pochi mesi come capo del Dipartimento Risorse Umane, diventa ‘tabula rasa’. Da semidio diventa un povero deficiente”.
L’accusa. Per i rappresentanti della pubblica accusa “ci sono le chat a smentire la ricostruzione della sindaca, come quella del novembre del 2016 nella quale lei si lamenta con Raffaele Marra del fatto che l’avesse tenuta all’oscuro dell’aumento stipendiale di Renato”. Per la Procura “è duplice il movente che ha spinto Virginia Raggi a sostenere il falso alla responsabile dell’Anticorruzione Mariarosa Turchi cui l’Anac aveva chiesto chiarimenti circa il ruolo rivestito dallo stesso Raffaele Marra nella nomina del fratello. Un primo movente è la protezione di Marra, persona fondamentale per far funzionare la macchina del Comune, il cui ruolo chiave era già stato definito nella fase della campagna elettorale. Il secondo movente “è rappresentato dal Codice Etico dei Cinque Stelle all’epoca vigente (e poi modificato nel gennaio 2017) che all’articolo 9 prevedeva per il sindaco le dimissioni in caso di sua iscrizione sul registro degli indagati per un reato. Se si fosse detta la verità all’Anticorruzione, sarebbe scattato nei confronti di Raffaele Marra e di conseguenza della sindaca il procedimento per abuso d’ufficio che avrebbe avuto inevitabili ricadute sul destino dell’amministrazione capitolina. Marra non era affatto uno dei 23mila dipendenti del Comune”.
La replica della sindaca. A queste considerazioni, Virginia Raggi ha replicato a fine requisitoria spiegando che “nella prassi esplicativa dei ‘grillini’ l’espulsione non è mai stata applicata per i sindaci Cinque Stelle indagati, sia nel caso di Pizzarotti che in quello di Nogarin (sindaci di Parma e Livorno, ndr). Pizzarotti fu sospeso per non aver comunicato le indagini a suo carico. Se fosse stato come sostiene il pm non mi sarebbe stata consentita nemmeno la candidatura. La prassi del Codice Etico era diversa”. Domani alle 11, prima che il giudice del tribunale Roberto Ranazzi si ritiri in camera di consiglio per la sentenza, prenderanno la parola i difensori della sindaca. 

9 Novembre 2018
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