Teatro alla Scala
4:00 pm, 5 Dicembre 22 calendario

Tutto pronto alla Scala per il Boris Godunov

Di: P.P.
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LIRICA La “Primina” del Boris Godunov di scena ieri sera al Teatro Scala ha soddisfatto gli oltre duemila under 30 che, sfruttando il biglietto d’ingresso a soli 20 euro, hanno applaudito per dieci minuti l’opera diretta da Riccardo Chailly, regia di Kasper Holten, interpretata dal basso Ildar Abdrazakov nelle vesti del protagonista, lo zar di tutte le Russie, Ain Anger come Pimen, Stanislav Trofimov come Varlaam, Dmitry Golovnin nei panni di Grigorij Otrepev e Norbert Ernst in quelli di  Vasilij Šujskij, mentre Lilly Jørstad è Fëdor.

Accanto ai giovani milanesi sono tornati anche gli stranieri, giapponesi in prima fila. Ora l’attesa è tutta per mercoledì, dalle 18, quando il Boris Godunov aprirà, per la seconda volta – dopo la memorabile edizione diretta da Claudio Abbado nel 1979 con la regia di Juri Ljubimov – la nuova stagione del Teatro alla Scala.

L’opera su libretto di Modest Petrovič Musorgskij giunge alla sua 25esima rappresentazione al Piermarini – superando la Carmen, andata in scena “solo” 24 volte: dalla prima italiana del 1909 voluta da Arturo Toscanini (ma diretta da Edoardo Vitale), diretta, tra gli altri, dallo stesso Toscanini, ma anche da Guarnieri, Votto, Gavazzeni e Gergiev.

Il parterre di ospiti politici

Per questa prima si è già  mobilitato un parterre istituzionale di primo piano: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, quello delle Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati, quello dello Sviluppo economico Adolfo Urso, oltre al sindaco di Milano Beppe Sala e al presidente della Regione Lombardia Attillio Fontana.

In scena la versione del 1869 del Boris Godunov

La versione del Boris Godunov scelta è quella primigenia del 1869 in sette scene che sgomentò i contemporanei per i tratti innovativi e realistici tanto dal punto di vista drammaturgico quanto da quello musicale e si concentra sul tema della colpa individuale e sulle sue inevitabili conseguenze.

Una vicenda cupa e attuale che riecheggia l’argomento del Macbeth verdiano con cui il Teatro alla Scala ha inaugurato la Stagione 2021/2022.

La storia del Godunov

Siamo nel 1598: morto lo zar Fëdor, guardie e sacerdoti esortano il popolo a pregare perché il boiardo Boris Godunov accetti di ascendere al trono. Infine l’incoronazione ha luogo nella piazza delle cattedrali del Cremlino in un’imponente cerimonia turbata però da alcuni disordini.

In una cella di  un monastero l’anziano monaco Pimen sta per terminare la sua cronaca delle vicende della Russia. La cronaca riporterà la verità sull’assassinio dello zar Dimitri, legittimo erede al trono, perpetrato su ordine di Boris. Pimen narra il delitto al novizio Grigorij, che avendo la stessa età dello zar risolve di farsi passare per lui e decide di guidare una rivolta contro Boris per impossessarsi del trono. Grigorij ripara in Polonia evitando l’arresto attraversando la frontiera con la Lituania.

Le ultime scene narrano i fatti accaduti nel 1604: i figli di Boris, Xenia e Fëdor sono cresciuti; lo zar governa ormai un paese stremato dalla carestia in cui il malcontento serpeggia tra il popolo e si moltiplicano le voci sul regicidio commesso, mentre alle frontiere premono le forze ribelli guidate da Grigorij. Perseguitato dal fantasma dello zar Boris Godunov perde il senno e muore dopo un’ultima esortazione al figlio Fëdor.

La lunga gestazione del Boris Godunov

Per la sua nona inaugurazione della Stagione d’Opera della Scala il maestro Riccardo Chailly ha scelto di dirigere Boris Godunov nella prima versione in sette scene presentata da Musorgskij ai Teatri imperiali di San Pietroburgo nel 1869.

L’opera, tra i massimi capolavori del teatro musicale, ha gestazione e storia complesse. Il compositore russo, nato in una famiglia di proprietari terrieri e voltosi alla musica abbandonando la carriera militare, aveva subìto le conseguenze economiche dell’abolizione della servitù della gleba, riducendosi a una vita incerta e precaria, minata dall’alcol e dall’epilessia.

Boris Godunov è la sua prima opera, e irrompe sulle convenzioni del teatro musicale del tempo con effetti dirompenti. Il libretto, di pugno del compositore, attinge alla tragedia di Puskin e alla Storia dello Stato russo di Alexander Karamzin per disegnare uno shakespeariano dramma della colpa sullo sfondo del cosiddetto “periodo dei torbidi” (1598 -1614), gli anni di anarchia compresi tra la morte di Ivan il Terribile e l’avvento dei Romanov. Per farlo Musorgskij immagina un linguaggio musicale visionario e anticipatore che spezza le forme chiuse dell’opera tradizionale a favore di un’adesione assoluta alla morfologia della lingua russa.

L’Ur-Boris di Musorgskij

Dopo poco più di un anno di lavoro, dall’ottobre 1868 al dicembre 1869, Musorgskij presenta alla commissione dei Teatri imperiali di San Pietroburgo un’opera radicalmente innovativa: divisa in sette scene, non presenta numeri chiusi, non contiene un intreccio sentimentale, non ha nessuna parte femminile di rilievo ma non prevede neppure un tenore eroico o amoroso. È il cosiddetto Ur-Boris o Boris originario: denso, cupo, profondo. Oggi la Scala lo presenta come titolo inaugurale; allora era decisamente troppo inconsueto per la commissione, che lo respinse con sei voti contro uno.

La revisione del Godunov con Rimskij-Korsakov

Il compositore procede quindi tra il 1871 e il 1872, in un periodo in cui divide la stanza con Rimskij-Korsakov, a una radicale revisione (la cosiddetta “versione originale”) che prevede l’aggiunta di tre nuove scene. Due costituiscono lo spettacolare “atto polacco” in cui non solo una serie di canzoni popolaresche intervengono a smorzare la cupezza generale, ma la voce tenorile di Grigorij (il “falso Dimitri”) trova spazio ed espansione eroica accanto a Marina, il personaggio femminile che mancava alla prima versione. La terza, che rielabora temi della “scena dell’innocente”, sposta il finale dai toni dimessi della morte di Boris alla grandiosa rivolta nella foresta di Kromy.

Non solo la continuità è spezzata in favore di una “drammaturgia a quadri” che si sposta tra luoghi e tempi diversi, ma tutta la musica è riscritta attenuando il realismo a favore di un più accentuato slancio lirico. La revisione fu sufficiente a far rappresentare l’opera, che andò in scena al Mariinskij l’8 febbraio 1874, ma non a decretarne il successo. La critica e i colleghi accusarono l’autore di cattivo gusto e ignoranza musicale: di fatto un autentico linciaggio.

La sopravvivenza del titolo sulle scene si deve in buona parte alla revisione completata da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1896, che reinventa l’opera ricoprendola di un’orchestrazione lussureggiante di immensa seduzione ma in netto contrasto con le tinte scabre e severe volute da Musorgskij.

Intanto nel 1928 il musicologo russo Pavel Lamm pubblica una revisione critica comprendente le due versioni originali in partitura, rispettose della volontà dell’autore e dei suoi accuratissimi manoscritti.

La prima esecuzione assoluta dell’Ur-Boris ha luogo il 16 febbraio 1928 a Leningrado. Una nuova versione è poi approntata da Sostakovic tra il 1939 e il 1940 e va in scena a Mosca nel 1959. La definitiva riscossa esecutiva dell’Ur-Boris dovrà attendere la versione del Kirov diretta da Valery Gergiev nel 1992.

La prima volta del Boris Godunov alla Scala

Al Teatro alla Scala il 14 gennaio 1909 va in scena la prima italiana del Boris, che si colloca in un più ampio progetto di rinnovamento e internazionalizzazione del repertorio voluto da Arturo Toscanini tra le perplessità e spesso l’aperta opposizione del pubblico e della stampa.

L’opera riletta dalla regia di Kasper Holten

Lo spettacolo del Boris Godunov di Modest Musorgski firmato dal regista Kasper Holten e dal suo team creativo, propone una lettura dell’opera incentrata sui temi della coscienza opposta al potere e della verità opposta alla censura. Alla radice della riflessione registica c’è l’origine del libretto, il dramma di Aleksandr Puskin, composto nel 1825 e pubblicato nel 1831.

Affrontando l’epopea del “periodo dei torbidi” Puskin si ispirava apertamente ai grandi drammi storici shakespeariani. E proprio al teatro di William Shakespeare si rifanno alcune soluzioni adottate nello spettacolo, come la rappresentazione del senso di colpa attraverso la materializzazione di fantasmi, reali o immaginati, sulla scena.

Un aspetto molto shakespeariano, secondo Holten è il fatto che Boris si trovi da solo di fronte a una galleria di personaggi complessi e ricca «e quando si lavora di fronte a questa complessità dei personaggi si apre un’infinita ricchezza drammaturgica», spiega il regista.

Nel Godunov appaiono i fantasmi shakespeariani

Shakespeare, nel caso della regia di Holten, ricorre anche nella scelta di mettere in scena dei fantasmi. «Sono i fantasmi delle vittime di un uomo di potere che lo inseguono e ne turbano la coscienza – sottolinea il regista -. I fantasmi del passato che si intrecciano con quelli de futuro e che creano così un mondo psicologico di grande intensità».

Un’ossessione, quella della visione di spettri, che caratterizza da sempre l’opera shakespeariana. La prima pièce dell’autore inglese in cui appaiono i fantasmi è Riccardo III.  Poi, Amleto, Giulio Cesare, Macbeth.

«Sono figure che appaiono e portano con sé il senso di colpa – fa notare Riccardo Chailly – poi ci sono terrore e follia, due elementi che hanno accomunato il mio desiderio di far seguire al Macbeth dell’anno scorso il Boris di quest’anno dove l’idea del ghost sarà molto evidente».

E’ la storia che torna. «Si parla di uomini che cercano potere con cinismo e delle loro vittime – conclude Holten – sono storie che si ritrovano all’epoca di Puskin e di Shakespeare, di Musorgskij e anche nella nostra».

Chailly: «Questo Godunov è il punto di arrivo del mio percorso»

Tra gli ormai numerosi percorsi di cui si compone la più che quarantennale esperienza scaligera del maestro Riccardo Chailly, quello che attraversa il repertorio russo ha un rilievo particolare.

«Questo Boris Godunov, che come ogni 7 dicembre sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura – afferma Chailly – è per me l’imprescindibile punto di arrivo di un percorso nella musica di Musorgskij che ho iniziato da molto giovane dirigendo a Firenze e a Bologna la scena della morte del protagonista con un interprete storico come Boris Christoff insieme ai Canti e danze della morte».

Tornerà il 7 dicembre sul palco della Scala il cantante lirico russo Ildar Abdrazakov, basso di fama internazionale protagonista del Boris Godunov. Dal debutto ne La sonnambula nel 2001, Abdrazakov ha cantato alla Scala ne La forza del destino, Macbeth, Samson et Dalila, Iphigénie en Aulide (con Riccardo Muti, 7 dicembre 2002), Fidelio, Moïse et Pharaon (con Riccardo Muti, 7 dicembre 2003), Carmen, Lucia di Lammermoor, Les contes d’Hoffmann, Le nozze di Figaro, Don Carlo, Ernani e le ultime tre inaugurazioni di stagione con Riccardo Chailly: Attila il 7 dicembre 2019, la serata A riveder le stelle il 7 dicembre 2020 e Macbeth il 7 dicembre 2021, oltre che in numerosi concerti.

Ildar Abdrazakov: «Non è un ruolo di canto ma di anima e fuoco»

Dotato di una tecnica vocale e di qualità sceniche che gli permettono di affrontare un vastissimo repertorio, Abdrazakov tornerà al Piermarini nel marzo 2023 per interpretare i quattro personaggi diabolici nei Contes d’Hoffmann diretti da Fréderic Chaslin.

«Finalmente un personaggio che è russo – dice Abdrazakov soddisfatto -. Per me è un ruolo importantissimo, non è un ruolo di canto ma di anima e fuoco. Se dovessi fare un paragone, con Verdi c’è prima il canto poi le parole, con Boris è il contrario. Tutto il cast è meraviglioso e per me è sempre un grande onore e un piacere essere qui. Sono il cantante più felice del mondo perché sono alla Scala per l’apertura di stagione».

Dominique Meyer: «Adoro questo spettacolo»

«Tre anni fa eravamo seduti con Chailly e pensavamo che fosse il tempo di uscire un po’ dalle abitudini. Ci siamo chiesti cosa potevamo fare e parlando siamo tornati sul Boris Godunov che ha una lunga storia alla Scala. Adoro questo spettacolo, è tra i miei più amati ed è uno dei miei migliori», aveva detto giorni fa il sovrintendente del Teatro alla Scala, Dominique Meyer.

«Abbiamo avuto un periodo di prove meraviglioso – ha sottolineato Meyer – mi sono goduto ogni secondo perché vedo un gruppo di artisti eccezionale e un regista che ha fatto un lavoro meraviglioso. Abbiamo cantanti meravigliosi, tutti giusti e poi un’orchestra e dei tecnici straordinari, luci bellissime. Vorrei soltanto che si veda per quello che è, un grande capolavoro della storia dell’opera, realizzato con la voglia di fare bene e che forse lancerà un messaggio più universale».

«Non facciamo propaganda a Putin»

Infine, per spengere definitivamente il fuoco della polemica che aveva infiammato il console ucriano Meyer sottolinea ancora una volta: «Con Boris Godunov non facciamo propaganda al presidente russo Vladimir Putin; c’è differenza tra la situazione politica attuale della Russia e un grande capolavoro della storia dell’arte. Non c’è niente in questa presentazione che vada contro l’Ucraina. Abbiamo preso una decisione ragionevole: bisogna leggere il libretto dell’opera, non fa apologia del regime ma piuttosto il contrario».

Il Boris Godunov sarà in diretta su Rai1 a partire dalle 17.45 e su Radio3, su Rai1 HD canale 501 e su RaiPlay, dove resterà per 15 giorni dopo la Prima.

P.P.

 

5 Dicembre 2022 ( modificato il 6 Dicembre 2022 | 21:20 )
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