Milano
7:38 pm, 8 Maggio 24 calendario

Renato Rizzi: «L’affettività in carcere non può più aspettare»

Di: Patrizia Pertuso
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Chiamami ancora amore, chiamami ancora amore, che questa maledetta notte dovrà pur finire, perché la riempiremo noi da qui di musica e parole”: sono le parole di un brano di Roberto Vecchioni, stampate sulla locandina di un incontro che domani, dalle 15 alle 18, alla Casa della Cultura (via Borgogna 3), affronterà il tema della “Affettività in carcere”.

Parteciperanno Valentina Alberta, Presidente della Camera penale di Milano, Giuseppe Bettoni, Presidente della Fondazione Archè Onlus, Fabio Gianfilippi, Magistrato di sorveglianza a Spoleto, Renato Rizzi, medico e psicologo, consulente presso il carcere di Bollate, Mario Serio, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, e lo scrittore Giorgio Panizzari. A moderare l’incontro ci sarà Francesco Maisto, Garante dei detenuti di Milano.

L’incontro nasce dalla sentenza numero 10 della Corte Costituzionale, emessa lo scorso 26 gennaio 2024, che inibisce l’illegittimità ad incontri affettivi in carcere. Una sentenza che è arrivata proprio nel giorno in cui in Alabama, Kenneth Eugene Smith è stato giustiziato nell’Holman Correctional Facility di Atmore usando una maschera ad azoto.

A parlarne a Metro, è uno dei partecipanti all’incontro di domani, Renato Rizzi.

Dottor Rizzi, quel 26 gennaio è stato un giorno importante sia per l’Italia, quanto per l’America dove per la prima volta si è deciso di applicare un metodo ritenuto “disumano” per giustiziare un condannato a morte…

«Il 26 gennaio scorso in Alabama è stato messo a morte attraverso ipossia di azoto, un metodo in disuso dal 1982, un uomo sul quale, attraverso una maschera sul volto, è stato insufflato azoto e tolto ossigeno. Questa modalità ha provocato convulsioni e un’agonia che è durata oltre 20 minuti: una cosa inaccettabile, in totale contrapposizione all’emendamento della Corte Suprema che aveva rigettato tutti i ricorsi. È stata una sofferenza gratuita che ci ha riportato al Medioevo. In quello stesso giorno, la Corte costituzionale italiana ha emesso una sentenza con cui ha dichiarato illegittimo il divieto di colloqui affettivi in carcere. Ha ammesso la validità di una relazione affettiva, e quindi anche sessuale ritenendo che “non ci sono obiettive ragioni di pericolosità” in questi comportamenti. In effetti questo divieto era una vessazione gratuita, “esageratamente afflittiva” come si scrive nella sentenza. Si tratta di un passaggio estremamente importante per l’Italia, un paese governato da un punto di vista penitenziario in modo piuttosto singolare: basti pensare al fatto che il sindacato della polizia penitenziaria è sempre stato ostile a questo tipo di permessi, usando anche linguaggi volgari ed osceni».

In che senso?

«Le faccio un esempio su tutti: sulla loro rivista non si parla di afflittività della pena ma di affettività del pene. Quindi per questo sindacato nazionale sussiste una posizione oltre che volgare estremamente oltranzista. Tutto ciò al di là di quanto sta venendo alla luce sulle violenze in carcere».

Quale è stata la molla che ha posto al centro dell’attenzione questo aspetto? 

«La legittimità dell’affettività in carcere è venuta fuori da un esposto di un detenuto che ha fatto causa allo Stato dal carcere di Terni. La sua istanza è arrivata al Giudice di sorveglianza di Spoleto il quale, nel gennaio del 2023, ha inviato tutto alla Corte costituzionale per avere un parere. Un anno dopo, nel gennaio del 2024, la Corte costituzionale ha dato luogo a questa sentenza che è strabiliante».

Dottor Rizzi, cosa cambierà ora?

«In Europa su 51 stati 31 hanno già questo tipo di possibilità tra cui la Spagna, la Francia e la Norvegia. In quei Paesi sono già previsti incontri che vanno da un minimo di 2 ore fino a un massimo di 14 ore. Nella sentenza di gennaio è stabilito che ci deve essere una privacy quindi nessun controllo uditivo né visivo durante questi incontri.  Attualmente solo Padova ha cominciato a recepire la sentenza e ha permesso la creazione di alcuni spazi nel cortile da poter adibire per questi incontri».

Cosa intende per “spazi nel cortile”?

«A Padova hanno pensato di mettere nel cortile alcune strutture prefabbricate. Solitamente si adibisce una stanza vicino all’ingresso in modo che il partner non si senta in carcere ma possa percepirsi più adeguatamente protetto. All’estero, invece, ci sono dei mini appartamenti dotati anche di frigorifero che assomigliano a case normali oppure delle stanze».

Dottor Rizzi, quanto è importante l’affettività in carcere a livello psicologico?

«La deprivazione affettiva in carcere è un dato inquietante perché pone le persone in una condizione di disagio prima di tutto psicologico e poi anche fisico. Nella nostra Costituzione è sancito il diritto alla salute dichiarato come un “bene essenziale”. E il diritto al sesso è uno degli elementi del benessere psicofisico. Naturalmente stiamo parlando di una sessualità transgenere, che non preveda alcuna distinzione fra le diverse sessualità: tutti devono avere il diritto di incontrare i loro partner».

Nel corso della sua esperienza da psicologo in carcere, questo bisogno di affettività è più vivo negli uomini, nelle donne, in entrambi oppure in entrambi ma in modi diversi?

«In entrambi viene vissuto in modo identico, ma con modalità differenti. Nelle donne la privazione del contatto fisico non si esplica solamente nel sesso, ma comprende abbracci, carezze e baci. Le donne ricercano più una omosessualità che miri ad una specie di contatto familiare mentre gli uomini vivono l’omosessualità in carcere non come scelta, ma come costrizione. In questo caso viene percepita semplicemente come atto fisico».

Perché parla di omosessualità?

«Perché il carcere prevede che i maschi siano da una parte le femmine dall’altra e quindi la carenza di sessualità viene in qualche modo supplita da un’affettività che sfocia nell’omosessualità. Si fa ricorso all’onanismo, alla masturbazione, e poi, in alcuni casi, si finisce nell’omosessualità soprattutto nelle detenzioni di una durata non limitata. Parlo sempre di una scelta consenziente, ovviamente. La rinuncia coatta a vivere la propria sessualità pone le persone di fronte alla scelta tra la masturbazione e l’atto omosessuale. Però la masturbazione può creare dei problemi perché in teoria potrebbe essere punita: mancando la privacy se il detenuto viene visto, il suo comportamento può rientrare tra gli atti osceni in luogo pubblico. Il ché fa aumentare la pena di chi è recluso da tre mesi a tre anni. Inoltre, tutto ciò mette il detenuto nelle condizioni di incorporare sensi di colpa e di una diminuzione dell’autostima personale oltre a portare a complicazioni anche di tipo fisico come la mancanza di erezione».

Ci sono dei tempi di applicazione per la sentenza della Corte costituzionale?

«Credo che la sentenza preveda l’attuazione immediata, ma dipende dalle singoli carceri e dai tempi di adeguamento necessari alle strutture».

Dall’incontro di domani che cosa vi aspettate?

«L’incontro di domani avrà come protagonisti il giudice di sorveglianza di Spoleto che chiarirà tutto l’iter che l’ha portato a chiedere alla Corte costituzionale di emettere una sentenza. Ci saranno i Garanti dei detenuti, sia quello regionale che quello nazionale, e il presidente della Camera penale di Milano. Mi aspetto che tutti diano la stura all’evidenza di attuare le misure che dovrebbero essere adeguatamente rispettate».

PATRIZIA PERTUSO

 

 

8 Maggio 2024 ( modificato il 9 Maggio 2024 | 9:50 )
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