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2:58 pm, 18 Luglio 23 calendario

Salario minimo, voto spostato. Tajani: “Non siamo in Urss”. Unimpresa: “81% di lavoratori sopra i 9 euro”

Di: Redazione Metronews
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L’opposizione dà battaglia in commissione Lavoro alla Camera dove continua la discussione sul complesso degli emendamenti sul salario minimo. Diversi deputati della minoranza hanno fatto quadrato in difesa della loro proposta di legge, chiedendo il ritiro dell’emendamento soppressivo presentato dalla maggioranza. Il voto slitterà ai prossimi giorni.

Il salario minimo alla Camera

«Io avevo calendarizzato tra martedì e mercoledì sia il voto – ha spiegato il presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto (FdI) – e sia le discussioni sul complesso degli emendamenti. Se le opposizioni vogliono portare a domani la discussione sugli emendamenti, la presidenza lo consente tranquillamente. Ma prima o poi serve arrivare ad un voto di questi emendamenti che potrebbero essere votati anche entro il fine settimana».
La Commissione si riunirà ancora domani per proseguire la discussione. E il voto sugli emendamenti, spiega Rizzetto, non sarà comunque «prima di domani pomeriggio». «Eviterei  che possa essere la settimana prossima perchè noi dobbiamo istruire per andare in Aula entro il 28. Cercheremo, compatibilmente con gli spazi che ognuno vuole prendersi, di votare entro la settimana». Domani è previsto un ufficio di presidenza per «calendarizzare meglio i lavori», annuncia infine Rizzetto.

Tajani: “Non siamo in Urss”. Calenda: “C’è in tutto il G7”

“Noi vogliamo che il lavoratore guadagni bene, non che abbiano tutti lo stesso stipendio come si faceva nell’Unione Sovietica”. Così il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani intervenendo all’Assemblea di Coldiretti. “Lo Stato deve fare buone regole per fare crescere l’economia e per creare il salario ricco, perché il salario minimo voluto dalla sinistra è un sistema vetero-socialista che abbassa il salario, non aumenta il salario, distrugge meritocrazia e livella tutto in basso”, aggiunge Tajani.

“Tajani ha detto un’imbecillità sul salario minimo, e sorprende che un ministro degli Esteri non conosca che c’è in tutti i Paesi del G7, come gli Stati Uniti e la Francia, che non sono sovietiche. La Germania, per esempio, ha aumentato il salario minimo più volte perché c’è un problema di inflazione che ha colpito le persone più povere”, ha risposto Carlo Calenda, segretario di Azione e senatore di Azione-Italia viva, all’Aria che tira commentando le parole di Antonio Tajani sul salario minimo considerato uno strumento da Unione sovietica. “Tajani dovrebbe sapere cosa è il salario minimo: proprio oggi hanno chiuso una società perché pagava i dipendenti sotto i 5 euro lordi all’ora. Io penso che sotto una certa cifra non è lavoro, è sfruttamento – ha precisato – La cifra scelta è fatta con un ragionamento tecnico: 1200 euro al mesi netti, che sono la cifra sotto la quale un lavoratore a tempo pieno non dovrebbe essere pagato, e c’è in tutti i Paesi occidentali”.

Unimpresa: “81% di lavoratori è sopra i 9 euro”

In Italia i minimi retributivi sono garantiti da un sistema vasto e capillare di contrattazione collettiva, che, a fine 2022, vede 946 contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel e copre, su un totale di circa 13,2 milioni di lavoratori dipendenti privati, 12,8 milioni di persone ovvero il 97% degli addetti. L’81% di questi lavoratori ha un ccnl con un salario di ingresso superiore a 9 euro, il 18% tra gli 8 e i 9 euro, mentre solo l’1% dei lavoratori ha un contratto che stabilisce una paga oraria sotto quota 8 euro.

L’introduzione del cosiddetto salario minimo a 9 euro, pertanto, significherebbe portare un incremento mensile per questo potenziale 1% dei lavoratori in media poco più di 50 euro netti mensili, mentre il vero ed unico beneficiario sarebbe lo Stato che tra incremento del gettito Irpef e di quello contributivo porterebbe nelle sue casse 1,5 miliardi di euro.
«E’ chiaro allora che il tema del salario minimo – osserva il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi – è utilizzato solo come strumento di campagna elettorale giocando come sempre sulla pelle di lavoratori e delle imprese, poichè così facendo si produrrebbe solo un aumento del costo del lavoro stimato in oltre 6,7 miliardi e che avrebbe un impatto negativo principalmente sulle piccole e medie imprese, riducendone drasticamente la competitività soprattutto nei mercati internazionali con conseguenze che non è difficile immaginare: riduzione di manodopera ed ulteriore ricorso al ‘sommersò vera piaga sociale».

Secondo Unimpresa, «il tema del salario minimo non soddisfa affatto la vera questione che oggi esiste nel nostro Paese ovvero la perdita del potere di acquisto dei salari. La funzione del salario minimo sarebbe inutile e forse dannosa. Se davvero si vuole far recuperare il valore dei salari sono necessarie politiche governative che incidano in maniera strutturale sul cuneo fiscale e Unimpresa lo scorso maggio ha presentato in commissione lavoro alla Camera dei deputati tre concrete proposte».

Per la confederazione, «occorre anzitutto ampliare lo strumento del welfare aziendale, innalzando la soglia di fringe benefit a 3.000 euro per tutti i lavoratori dipendenti e ai lavoratori con un reddito assimilato a quello del lavoro dipendente, a prescindere dalla presenza di figlia o coniuge a carico, come, invece, inspiegabilmente stabilito nell’ultimo decreto lavoro convertito in legge. Al fine di aumentare il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti e, al tempo stesso di stimolare la produttività, è necessario azzerare le imposte, sia a carico dei lavoratori sia a carico delle aziende, sui premi di produttività fino all’importo annuo di 6.000 euro. Allo scopo, poi, di stimolare la contrattazione di secondo livello e di consentire alle realtà aziendali di integrare istituti economici e normativi disciplinati dai contratti collettivi nazionali, sarebbe indispensabile detassare totalmente gli aumenti salariali che derivano dalla contrattazione di secondo livello. Così, a esempio, se un ccnl stabilisce un minimo salariale per un determinato livello di 10 euro l’ora e l’azienda, per effetto di una contrattazione di secondo livello definita con le organizzazioni sindacali, corrisponde a quel lavoratore un salario di 12 euro all’ora, quei due euro aggiuntivi andrebbero considerati totalmente esenti da contribuzione e tassazioni. Ciò – conclude Unimpresa – con l’obiettivo di portare effettivamente nelle tasche del lavoratore due euro in più nette e all’azienda costare effettivamente due euro senza ulteriori aggravi».

18 Luglio 2023
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