Giampaolo Cerri
4:13 pm, 21 Gennaio 16 calendario

Se in Italia sbarca la filosofia No child

Di: Redazione Metronews
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Un ristorante romano è salito nei giorni scorsi alla ribalta delle cronache per aver notificato alla clientela, con tanto di avviso sulla porta, di non accettare bambini. Il diniego è stato mascherato da ragioni logistiche, i passeggini che impedirebbero il regolare servizio dei camerieri, e di carenza di arredi, come la mancanza di seggioloni. In realtà il ristoratore fa da apripista a una tendenza, tutta americana, che ora sbarca da noi come per altri usi e costumi d’Oltreoceano. E non è il caso di scandalizzarsi o, peggio, di cadere dal pero. 
In Italia la filosofia “no child”, ossia “nessun bambino”, ha attecchito da tempo e l’inverno demografico, contro il quale fingiamo di stracciarci le vesti, è figlio – è il caso di dirlo – anche della scelta ponderata, abbracciata, militata a volte, di non volere aver prole.
Si fanno pochi figli perché la vita è dura e difficile, perché c’è la crisi, perché il futuro è incerto, perché c’è la guerra, perché “il mondo è già troppo pieno”, si rinuncia alla progenie per mille motivi ma anche, non nascondiamolo, perché i figli sono fonte di stress, di seccature, perché limitano la nostra libertà, perché chiedono, anzi, pretendono attenzioni.
Crescendo di numero gli italiani “no child”, è parallelamente aumentata l’insofferenza verso i children degli altri: sui treni, nei condomini, nei musei e, ovviamente, nei ristoranti.
L’oste romano, col suo cartello affisso, risponde semplicemente a una domanda del mercato: quella di un servizio asettico, libero dai pianti dei bambini, dalle bizze dei ragazzini e anche, ammettiamolo pure, dall’inadeguatezza educativa di mamme e papà. Semmai, senza troppi paludamenti, si poteva scrivere: “Vietato l’ingresso ai bambini”.  
Il pensiero antipatizzante l’infanzia, peraltro, ha conseguenze un po’ più serie di quelle dei locali off limits per i più piccoli. 
Per esempio non annette alla maternità alcun valore sociale e giudica le politiche demografiche alla stregua di un folcloristico residuo mussoliniano.  Si tratta di Italiani scettici persino sull’importanza delle nuove generazioni nel contesto previdenziale, convinti che a pagare le loro pensioni saranno i lavoratori immigrati. Speriamo che non si sbaglino.
Ps. Il presente articolo è in conflitto di interessi: l’autore è padre di cinque figli.
 

21 Gennaio 2016
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