Milano Teatro
5:00 am, 19 Marzo 24 calendario

Donatella Massimilla: «Attrici e detenute sono le voci incarnate di Alda Merini»

Di: Patrizia Pertuso
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Donatella Massimilla: regista, drammaturga, fondatrice della compagnia Cetec Dentro/Fuori San Vittore (Centro europeo Teatro e Carcere) con la quale dirige la Casa Museo della Poetessa Alda Merini. Stasera al Piccolo Teatro porta in scena Alda Merini, Parole al vento: sul palco con lei, Gilberta Crispino, Mariangela Gineti e Yousi Cuba. «Le parole e gli sguardi – spiega Massimilla -, i suoni e le risate, le note al pianoforte e le “Voci di Dentro” delle donne recluse di San Vittore, diventano gesti ed azioni, visioni e ispirazioni di testimonianza».

Signora Massimilla cos’è il Cetec?
«Il Cetec, Centro europeo Teatro e Carcere, è una compagnia che ha sempre lavorato in luoghi di confine, promuovendo teatri delle diversità, anche in Europa, con Edge Festival, lavorando nelle carceri, portando avanti un Teatro d’Arte Sociale. La compagnia è fondata da me e da un’attrice cantante, Gilberta Crispino, con cui collaboro ormai da vent’anni per il lavoro nelle carceri. Con noi si sono attrici ex detenute e nuove artiste che provengono anche da altri percorsi come Yousi Cuba: è un’artista di strada; un giorno, entrando nel museo, si è messa a suonare il pianoforte: a Cuba aveva studiato al Conservatorio e aveva deciso di trasferirsi in Italia essendo una artista trans. Ci siamo innamorate di lei e ora fa parte della compagnia».

Com’è stato il suo ingresso in carcere?
«La prima volta, 30 anni fa, non pensavo di sentirmi così tanto a casa perché, anche se è una cosa insolita, mi sono sentita protetta probabilmente perché venivo da un grande amore per i laboratori teatrali “a porte chiuse”: sono stata un’allieva di Grotowski, ho incontrato Barba e molti altri. Stare chiusi fa sì che si creino all’interno spazi in cui le persone si possono denudare, rivelarsi, riscoprirsi e iniziare un processo di trasformazione attraverso l’arte del teatro. Poi è subentrata la voglia di mettere in piedi progetti artistici con ex detenute fuori da San Vittore, ma non sottolineiamo mai che sono state in carcere».

Lei ha lavorato con il femminile a San Vittore?
«Prima con gli uomini, quando avevo la compagnia “La Nave dei Folli” che è durata quasi 10 anni. Poi c’è stato un innamoramento per il femminile. L’avevo lasciato dopo aver contribuito a creare una sartoria teatrale dal nostro primo spettacolo che era “Viaggio con Alice”: Alice t voleva dire “arte lavoro ideazioni costumi e teatro”; c’è sempre stata questa necessità di voler intrecciare arti e mestieri dello spettacolo con una possibilità di riscatto, di reinserimento di queste persone».

È stato più impegnativo a San Vittore lavorare con le donne o con gli uomini?
«Con le donne. Sono molto più “difficili”: hanno famiglie e affettività negate soprattutto se vengono dall’estero; si trovano ad essere recluse per anni con i figli lontani. Credo che per un uomo detenuto, c’è sempre una mamma, una moglie, una fidanzata o una figlia; per le donne, invece, è più difficile. Sono anche più complesse sul piano psicologico: si lasciano andare e arrivano a una negazione del loro corpo. Gli uomini sono più attivi: avevo conosciuto un attore detenuto che faceva 100 flessioni al giorno in cella, poi correva per due ore e infine veniva alle prove. Creare un’autodrammaturgia al femminile significa toccare i loro vissuti. Scelgo sempre trame teatrali come “Tempesta” di Shakespeare o “Le serve” di Genet o “La casa di Bernarda Alba” di Garcia Lorca; ma poi queste storie diventano le loro storie, il sotto testo, quello che rende viva la parola drammaturgica, è sempre il loro».

Passiamo a Alda Merini.
«Sono sempre stata un’appassionata di Alda Merini. Ho incontrato le sue quattro figlie sia a San Vittore che al Piccolo Teatro e si è creata subito un’empatia molto forte: la loro mamma ha avuto una storia molto particolare».

“Alda Merini, Parole al vento” è di scena stasera al Piccolo Teatro. Come è nato?
«Dal desiderio di dare corpo a voci incarnate. Dopo la pandemia abbiamo coinvolto alcune donne recluse che hanno più difficoltà ad uscire dal carcere. Siamo andate a registrare le loro voci durante gli incontri del giovedì con una nostra volontaria e cara amica, Federica Berlucchi: prima abbiamo fatto conoscere loro la Merini leggendo le sue poesie e raccontando la sua vita. Poi, abbiamo registrato diverse parole di Alda e loro ne hanno scelte alcune come da un vocabolario per riscrivere le loro storie. Così è nato un prologo molto sognante: lo spettacolo inizia con queste voci mentre noi ci trucchiamo tra nuvole di fumo. Abbiamo avuto la fortuna di avere dalle figlie, dall’associazione Alda Merini e da Giovanni Nuti, che ha musicato le poesie di Alda per Milva, il permesso di utilizzare testi interi: di solito vengono usati solo pochi versi. Secondo noi la forza di Alda Merini è proprio quella poetica delle sue poesie d’amore, dei suoi brani sul manicomio delle sue pagine di diario».

So che ci sono anche degli oggetti particolari che rappresentano la Merini nello spettacolo.
«Sì, certo. Non poteva mancare la macchina da scrivere o il ventilatore, lei ne aveva una collezione. Ma la cosa più bella, secondo me, sono i petali di rosa, queste rose che lei amava tanto. Inoltre, ci sono oggetti invisibili, come il telefono, evocati per raccontare le sue telefonate: per ore dettava ad Alberto Casiraghi gli aforismi, chiamandolo 60 volte al giorno».

In scena, quattro donne per raccontarne una sola: perché questa scelta?
«Io sono testimone di Alda mentre Gilberta Crispino è testimone di Milva e di Luisella Veroli oltre che delle altre amiche della Merini. Mariangela Ginetti, la mia attrice di 70 anni, porta sul palco un doppio molto infantile di Alda che si pone accanto al mio».

In “Alda Merini, Parole al vento”  ricorre anche alla proiezioni di immagini…
«Sì, sono immagini molto significative per le quali ringrazio il regista Gabriele Fonseca che ci ha regalato momenti in cui Alda Merini parla di che cosa è per lei il teatro, l’attore, dell’interpretazione delle sue poesie come “versi incarnati”. Lo spettacolo è sold out ma lo rifaremo al Castello Sforzesco l’8 luglio. Siamo felici di aver ricevuto il permesso dalla Fondazione Fo Rame tramite Mattea Fo di citare una pagina di Franca Rame in cui parla della sua battaglia con Franco Basaglia per la chiusura degli ospedali psichiatrici. Dario Fo e Franca Rame erano amici, venivano spesso a San Vittore a vedere i nostri lavori».

Oggi dopo lo spettacolo al Piccolo so che c’è in programma anche qualcos’altro. 
«Alla fine dello spettacolo inaugureremo una panchina rossa per il progetto una “Panchina rossa per Franca” in largo Paolo Grassi alle 12 con Gilberta Crispino che interpreterà “Stupro” di Franca Rame. È un progetto a cui teniamo molto e che porteremo in giro per il mondo: abbiamo già cominciato a tradurlo in inglese in una cornice, anche questa creata con Mattea Fo, che lo contestualizza: è un testo che non dobbiamo dimenticare come non dobbiamo dimenticare Franca Rame, un’altra donna straordinaria come Alda Merini».

PATRIZIA PERTUSO

19 Marzo 2024 ( modificato il 18 Marzo 2024 | 10:50 )
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