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3:24 pm, 23 Maggio 22 calendario

Difesa Usa per Taiwan, Biden sorprende anche la Casa Bianca

Di: Redazione Metronews
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Molti tra gli alti funzionari dell’amministrazione Biden «sono stati colti alla sprovvista dalle dichiarazioni» del presidente Usa che nel suo viaggio in Asia ha avvertito che gli Stati Uniti interverrebbero in difesa di Taiwan in caso di attacco cinese.

Biden e Taiwan

Lo riporta la Cnn, aggiungendo che a seguito dei commenti di Biden, un funzionario della Casa Bianca ha assicurato che la posizione ufficiale di Washington rispetto al dossier è rimasta invariata.

“Come ha affermato il presidente, la nostra politica non è cambiata. Ha ribadito la nostra politica dell’unica Cina e il nostro impegno per la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan. Ha anche ribadito il nostro impegno ai sensi del Taiwan Relations Act di fornire a Taiwan i mezzi militari per difendersi”, ha detto il funzionario. Secondo le fonti dell’emittente americana, lo staff di Biden è al lavoro per far chiarire pubblicamente la posizione degli Usa.

La Cina: “Non sottovalutate la nostra determinazione”

“Sulle questioni relative alla sovranità e all’integrità territoriale della Cina, la Cina non lascia spazi per il compromesso. Nessuno dovrebbe sottovalutare la determinazione del popolo cinese“. Così la diplomazia di Pechino replica alle parole di Biden su Taiwan. La Cina – ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, secondo quanto riporta il Global Times – intraprenderà “azioni risolute” a tutela della sua “sovranità” e degli “interessi di sicurezza” e “faremo ciò che abbiamo detto”. Il gigante asiatico considera Taiwan parte “inalienabile” del territorio cinese e un “affare interno”.

Pechino, ha ribadito il portavoce del ministero degli Esteri, chiede a Washington di “rispettare il principio di ‘una sola Cinà e i tre comunicati congiunti Cina-Usa, di onorare il proprio impegno a non sostenere l’indipendenza di Taiwan, a fare attenzione con parole e azioni sulla questione di Taiwan e a non inviare segnali sbagliati alle forze separatiste che cercano l’indipendenza di Taiwan”.

La tensione tra Usa e Cina su Taiwan

Dunque sale di nuovo alle stelle la tensione tra Cina e Stati Uniti su Taiwan. Il presidente Usa, Joe Biden, da Tokyo, ha avvertito Pechino che gli Stati Uniti ricorreranno alla forza militare per difendere Taiwan qualora la Cina decidesse di invadere l’isola. Da Pechino, il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha espresso la «forte insoddisfazione e ferma opposizione» della Cina per le parole di Biden, sottolineando che sulla questione di Taiwan «la Cina non ha spazio per compromessi», e che «nessuno dovrebbe sottovalutare la forte determinazione, la ferma volontà e la forte capacità del popolo cinese di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale».

Dai tempi di Nixon

A cinquanta anni dalla visita dell’ex presidente Usa Richard Nixon in Cina che ha spianato la strada allo stabilimento delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, e nel pieno della crisi in Ucraina, la questione di Taiwan rimane il nodo più intricato da sciogliere nei rapporti tra le due sponde dell’oceano Pacifico.
La questione della sovranità dell’isola è stata affrontata nei tre comunicati congiunti tra Cina e Stati Uniti, alla base delle relazioni bilaterali, e ricordati, anche oggi dal portavoce del ministero degli Esteri di Pechino. Nel comunicato di Shanghai, emesso al termine della visita di Nixon, Pechino definisce «cruciale» la questione di Taiwan per normalizzare i rapporti con gli Stati Uniti.

Per la Cina, Taiwan è «una provincia» e la sua «liberazione» è una questione interna della Cina su cui non sono ammesse interferenze.

Gli Stati Uniti riconoscono, invece, che «tutti i cinesi su entrambi i lati dello Stretto di Taiwan ritengono che c’è una sola Cina e che Taiwan è parte della Cina» e riaffermano il proprio interesse per una «risoluzione pacifica» della questione.

«L’obiettivo ultimo», si legge nel comunicato del 28 febbraio 1972, è il ritiro di tutte le forze e delle installazioni militari statunitensi dall’isola. Nel comunicato congiunto emesso il 15 dicembre 1978, che ha sancito, a partire dal 1979, l’avvio di relazioni diplomatiche tra Cina e Stati Uniti, gli Usa «riconoscono il governo della Repubblica Popolare di Cina come l’unico governo legale della Cina». In questo contesto, però, «il popolo degli Stati Uniti manterrà relazioni commerciali, culturali e altre non ufficiali con il popolo di Taiwan». Entrambi le parti, inoltre, pongono l’accento sul desiderio di «ridurre il pericolo di un conflitto militare internazionale» e dichiarano che nè la Cina, nè gli Stati Uniti cercheranno «l’egemonia» nell’Asia-Pacifico. In contemporanea con l’instaurazione di relazioni diplomatiche con Pechino, gli Stati Uniti hanno approvato il Taiwan Relations Act, nel quale dichiarano che renderanno disponibili a Taiwan «articoli e servizi di Difesa per mantenere una sufficiente capacità di auto-difesa». La questione della vendita di armi a Taiwan è il tema principale del terzo comunicato congiunto tra Cina e Stati Uniti, quello del 17 agosto 1982, che prende le mosse dalla mancata soluzione del tema, a causa delle «differenti posizioni» di Pechino e Washington. Nel comunicato gli Stati Uniti dichiarano che «non cercano di portare avanti una politica di lungo termine» di vendita di armi a Taiwan e che le vendite di armi non supereranno «quantitativamente e qualitativamente» i livelli degli anni che hanno preceduto lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con la Cina, con l’obiettivo di «ridurre gradualmente» le vendite, ma senza specificare un preciso orizzonte temporale. I due governi di Cina e Stati Uniti devono, invece, lavorare per trovare una soluzione alla questione di Taiwan. Pechino rivendica la sovranità sull’isola in base al principio della «unica Cina», su cui Cina e Taiwan differiscono nell’interpretazione, e che l’attuale presidente dell’isola, Tsai Ing-wen, del Partito Democratico-progressista di Taiwan, non ha mai riconosciuto, irritando fortemente Pechino da quando si è insediata al vertice di Taiwan, all’inizio del 2016.

L’avvicendamento al vertice dell’isola, nel 2016, dopo otto anni di presidenza di Ma Ying-jeou, del Partito Nazionalista (Kuomintang) – con cui il presidente cinese, Xi Jinping, intratteneva buoni rapporti, e che ha incontrato in uno storico summit a Singapore alla fine del 2015 – ha raffreddato le relazioni tra Pechino e Taipei.

La tensione è culminata alla fine del 2016, il 2 dicembre, quando la presidente dell’isola ha avuto un breve colloquio telefonico con il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, durante il quale si è congratulata con il tycoon per la vittoria alle presidenziali Usa. Pechino reagì a distanza di poche ore: «c’è una sola Cina», e Taiwan ne fa parte, tuonò il ministero degli Esteri. I media cinesi arrivarono a definire Trump «un idiota» per quella telefonata che aveva rotto un protocollo diplomatico durato oltre 37 anni fino a quel momento, sfumando solo leggermente i toni nelle versioni in inglese. Da allora, i rapporti tra Cina e Stati Uniti si sono caricati di tutti gli altri capitoli di attrito: dalle dispute commerciali, alla repressione a Hong Kong, fino alle accuse sull’origine del Covid-19 e a quelle per la violazione dei diritti umani nello Xinjiang ai danni degli uiguri, ma la questione di Taiwan rimane, per Pechino, la linea rossa da non oltrepassare. La Cina non ha mai abbandonato il progetto della «riunificazione» dell’isola con la Repubblica Popolare Cinese (che Taiwan considera, invece, «unificazione”): a ottobre scorso, in un durissimo richiamo, Xi aveva promesso che «la riunificazione si farà». Sotto Xi, la Cina ha messo in atto pressioni economiche, diplomatiche e militari, soffiando alleati a Taiwan, rimasta con 14 Paesi con cui intrattiene legami diplomatici, in gran parte Stati insulari del Pacifico o dei Caraibi.

Rischio invasione

I timori di Taipei riguardano anche il rischio di un’invasione: secondo rilevamenti del ministero della Difesa di Taiwan, Pechino potrebbe avere la capacità di compiere un’operazione su larga scala già nel 2025. La questione della vendita di armi a Taiwan rimane ancora oggi motivo di forte attrito tra Cina e Stati Uniti, a ogni annuncio di Washington dell’approvazione di nuove forniture. L’aumento delle vendite statunitensi ha portato, per la prima volta, nel 2020, la Cina a imporre sanzioni ai grandi gruppi della Difesa statunitensi, presi di mira anche l’anno scorso, dopo l’ultimo annuncio di Washington: nel mirino di Pechino ci sono, in particolare, Lockheed Martin e Raytheon Technologies. Il crescente malumore di Pechino riguarda anche altri aspetti del rapporto tra Taiwan e Stati Uniti. I transiti delle unità navali statunitensi nelle acque dello Stretto irritano costantemente Pechino, e a irrigidire la posizione cinese sono stati soprattutto gli aumenti dei contatti diretti tra Washington e Taipei, avvenuti sotto tutte le amministrazioni Usa, ma intensificatisi con la presidenza Trump e continuati con frequenza anche dopo l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Pechino respinge ogni contatto tra gli Stati Uniti e l’isola, mostrando irritazione per le visite sull’isola di delegazioni di membri del Congresso statunitensi, e si oppone a qualsiasi forma di riconoscimento internazionale dell’isola. Tra gli ultimi capitoli di irritazione c’è il mancato invito di Taiwan all’Assemblea Mondiale della Sanità, in corso in questi giorni, su pressioni di Pechino: il segretario di Stato Usa, Blinken, ha manifestato il supporto degli Usa per la partecipazione dell’isola a tutti gli eventi in cui non è richiesto l’essere uno Stato, come l’organo decisionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma da Pechino è arrivata la «ferma opposizione» della Cina e l’avvertimento che «qualsiasi tentativo di usare Taiwan per controllare la Cina è destinato a fallire».

23 Maggio 2022
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