Monica Vitti
12:40 am, 3 Febbraio 22 calendario
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Monica Vitti, ma ‘ndo Hawaii?

Di: Orietta Cicchinelli
Monica Vitti
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La regina del cinema italiano se ne va. Monica Vitti, musa di Antonioni, diva nel suo essere anti-diva, avvolta nelle mitiche “7 sottanine” (freddolosa com’era), si è spenta a 90 anni, festeggiati il 3 novembre. Una lunga malattia l’aveva già da tempo allontanata dalle scene. Domani il saluto della sua Roma nella Camera ardente in Campidoglio (dalle 10 alle 18). I funerali nella chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo.

“Ma ‘ndo Hawaii” cara Monica Vitti

«Io non capisco la gente che non ci piacciono i crauti». Canzonissima 1972. Monica Vitti lancia, con scenografia esilarante, il brano d’avanguardia teatrale firmato da Bruno Lauzi. Una canzonetta che resta nel lessico quotidiano. Ripresa da Cochi e Renato e poi da Francesco Guccini che la incide 24 anni dopo, sostituendo crauti con fichi. L’attrice ne andava orgogliosa e la riproponeva spesso. Memorabile in tv l’esibizione con la Mannoia a ricordare gli esordi della cantante nata come stuntwoman. In “Amore mio aiutami” gli schiaffi che Sordi dava erano veri, la faccia però non era della Vitti ma della giovane Fiorella. E, a proposito di Sordi, celebre il motivetto “Ma ‘ndo Hawaii” in “Polvere di Stelle”, cantato dai due.

La carriera di Maria Luisa Ceciarelli

Nata a Roma nel 1931 come Maria Luisa Ceciarelli, l’infanzia a Messina, torna con la famiglia nella Capitale. Si diploma nel 1953 e debutta in teatro. Al cinema si avvicina come doppiatrice dalla caratteristica voce roca. Il 1° ruolo di rilievo arriva in “Una pelliccia di visone” (1956) di Glauco Pellegrini. Ma è l’incontro con Antonioni (‘57) a segnare la svolta: in teatro la fa diventare primattrice e al cinema su misura per lei costruisce “L’avventura”. Al centro di un sottile gioco di misteri e introspezione psicologica, la Vitti dà prova di maestria, con silenzi rumorosi e sguardi magnetici. Diventa simbolo dell’incomunicabilità, con capolavori come “La notte” (Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista), “L’eclisse” e “Deserto rosso” (1964), film manifesto dell’esistenzialismo.

Alla fine del sodalizio con il regista, la Vitti torna alla commedia (vince il suo 1° David) con “La lepre e la tartaruga” (1962) di Blasetti. Nel 1964 torna al teatro diretta da Franco Zeffirelli in “Dopo la caduta”, di Arthur Miller sulla vita di Marilyn Monroe. Il cinema leggero la conquista definitivamente con titoli come “La sospirosa”, “Fata Sabina”, “Ti ho sposato per allegria” di Salce, “Il disco volante” di Tinto Brass, “Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo!” di Citto Maselli, “La cintura di castità” di Pasquale Festa Campanile. Quest’ultimo è l’inizio del suo sodalizio anche sentimentale con Carlo Di Palma, che avrebbe fotografato tutti i suoi film fino alla metà degli Anni’70.

La verve comica

La vis comica della Vitti risulta ancora sacrificata dal format della commedia all’italiana. L’occasione arriva grazie a “La ragazza con la pistola” (1968) di Monicelli. La parte da siciliana sedotta e abbandonata che insegue a Londra l’uomo che le ha tolto l’onore, ne segna la consacrazione come attrice brillante (nel 1969 vince un Nastro d’argento e un David), dando il via a una serie di film dove interpreta personaggi svagati e stralunati, con uno stile al limite del grottesco, insolito per quei tempi. Vitti può così duellare alla pari con “mattatori” del cinema, da Alberto Sordi («Sordi mi parlava sempre di Monica Vitti. La considerava la sua partner ideale, ne aveva una stima immensa, enorme. Lei, in effetti, aveva una personalità difficile da ritrovare anche oggi, pure se ci sono delle ottime attrici», racconta Carlo Verdone). Da Vittorio Gassman a Ugo Tognazzi, Mastroianni e Giancarlo Giannini.
Dopo “Amore mio, aiutami” di Sordi, “Vedo nudo” (1969) di Dino Risi e “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)” (1970) di Scola, Risi le confeziona su misura “Noi donne siamo fatte così” (1971), un film a episodi che le dà la possibilità di interpretare 12 diversi ruoli.

Di Palma dopo Antonioni

Anche Di Palma ne fa la sua musa, e passa alla regia realizzando, tra il ’73 e il 76, tre commedie brillanti che ben mettono in risalto il talento di Monica: “Teresa la ladra” “Qui comincia l’avventura” e “Mimì Bluette… fiore del mio giardino”. In quel periodo la Vitti ottiene altri 4 David: per “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa” di Marcello Fondato, il magnifico “Polvere di stelle” di Sordi, “L’anatra all’arancia” di Salce (anche Nastro d’argento) e “Amori miei” di Steno. E ancora: “La Tosca” di Magni, “Letti selvaggi” di Luigi Zampa, “Non ti conosco più amore” di Corbucci, “Tango della gelosia” di Steno, “Camera d’albergo” di Monicelli, e l’esilarante “Io so che tu sai che io so” by Sordi.

“Sette sottane” l’autobiografia di Monica Vitti

Al cinema drammatico la Vitti torna ancora con Antonioni in “Il mistero di Oberwald” (1981). Il successo le aveva consentito negli Anni ’60-‘70 di partecipare a coproduzioni internazionali, come “Il castello in Svezia” per la regia di Roger Vadim, “Modesty Blaise, la bellissima che uccide” di Losey, “La pacifista” di Jancsó, “Il fantasma della libertà” di Luis Buñuel, “Ragione di Stato” di Cayatte. “Scandalo segreto” (del 1990) è la sua ultima prova come attrice e l’unica come regista. Oltre alla sceneggiatura di questa commedia firma quelle di “Flirt” e “Francesca è mia” del fotografo di scena e regista Roberto Russo, che sposa il 28 settembre 2000, in Campidoglio, dopo 27 anni di vita insieme. “Sette sottane“ (1993) è la sua autobiografia completata dal romanzo “Il letto è una rosa” (‘95).

3 Febbraio 2022
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