Migranti
8:12 pm, 11 Luglio 16 calendario

In viaggio con i migranti sui barconi della speranza

Di: Redazione Metronews
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GERMANIA «Ho preso coscienza concretamente che non tutto ciò che è legale è morale e viceversa. Ho compreso che si possono tradire se stessi e i propri valori anche credendo di essere semplicemente dei cittadini ligi alla legge». Lo spiega a Metro il giornalista tedesco Wolfgang Bauer, che ha compiuto il pericoloso viaggio su un barcone nel Mediterraneo insieme ad un gruppo di profughi siriani, venendo rapito dai trafficanti ad Alessandria, ferito e poi sbattuto in una prigione egiziana.
Due anni fa ha scritto su quell’esperienza il libro “Al di là del mare”. Ora come vede le cose?
Speravo che potesse cambiare qualcosa, anche se in fondo sapevo che non sarebbe successo.
Lei ha descritto i trafficanti di uomini come impegnati a rubarsi i “clienti”, anche spacciandosi per gentili venditori di un “servizio”.
Sono rimasto impressionato da quanto sia sofisticata la loro rete. Conoscevo l’organizzazione turistica egiziana e mi hanno colpito le somiglianze tra le due “industrie” – quella degli alberghi e quella del traffico di migranti – in termini di prenotazione e pianificazione. I trafficanti chiamavano spesso i migranti per convincerli della qualità dei loro “servizi”. Sembrava un’asta. Del resto il business è enorme. Lo scorso novembre sono stato a Kabul, in Afghanistan, ed ho visto che lì si può entrare in un’agenzia di viaggio e comprare un biglietto per arrivare in Europa, in modo illegale ovviamente.
Lei ha parlato di un diffuso uso di droghe da parte dei trafficanti. Ritiene che le prendano per addormentare le emozioni?
Molti di loro sono tossicodipendenti. Perché se sei coinvolto in questo tipo di attività devi trovare un modo per dimenticare tutte le minacce e i pericoli che ti attendono. Poi hanno bisogno di essere spietati con gli altri e con se stessi. Ci sono quelli che lo fanno per soldi e poi ci sono gli aguzzini.
Il gruppo di profughi con cui  viaggiava è finito in prigione in Egitto. Lì è stata svelata la sua identità e le ambasciate tedesca e ceca hanno recuperato lei e il fotografo Stanislav Krupar. Siete passati da prigionieri a Vip.
Questa sensazione di essere stato privilegiato senza motivo mi stranisce ancora. In poche ore, Stanislav e io siamo passati dalla cella all’aeroporto. Ai profughi tutto questo è assolutamente negato.
Lei parla molto di libertà, ovvero di mancanza di libertà. Questo viaggio ha cambiato il modo in cui lei interpreta questa parola?
Sì ed è la ragione per la quale ho fatto un documentario in Germania. Ho seguito una famiglia di rifugiati per un anno. Il marito è stato condannato a sei anni di carcere. Pensare a questo uomo bloccato in 35 metri quadrati per un lungo periodo è agghiacciante. E quando due miei amici siriani mi hanno chiamato per dire che erano su una barca verso l’Italia ho deciso di infrangere la legge per aiutarli a raggiungere la Germania: aiutare non è un atto eroico, si tratta di agire in modo umano.
NATALIA WYSOCKA, METRO WORLD NEWS

11 Luglio 2016
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