La condanna dell’Islam
MILANO Dall’altra parte del mondo c’è chi, come Donald Trump, ammonisce: «Questi attacchi non li fanno gli svedesi. E’ con gli arabi che abbiamo un problema». E così, le voci dell’Islam tutto si fanno sentire, tuonano contro gli attacchi terroristici. Si danno da fare per dissociare la religione di Maometto da chi vuole impregnarla di sangue. Il presidente iraniano Hassan Rohani ha condannato «con fermezza» gli attacchi a Bruxelles scrivendo su Twitter «le più sentite condoglianze al governo e al popolo del Belgio, in particolare a coloro che hanno perso i propri cari». Ma se per bocca di Rohani parla l’Islam sciita, il mondo sunnita, o parte di esso, non è da meno. La massima istituzione dell’Islam sunnita, Al-Azhar, ha condannato gli attentati contro l’aeroporto e la metropolitana di Bruxelles affermando che si tratta di «atti contrari agli insegnamenti dell’Islam». E proprio in queste settimane il Grande imam della moschea di al-Azhar, Ahmed al-Tayeb, è impegnato in missioni in Europa per portare avanti un «dialogo tra Oriente e Occidente» mirato a far chiarezza su «i veri concetti dell’Islam».
In Italia, il Centro Islamico Culturale d’Italia, che gestisce la grande moschea di Roma, ha, dal canto suo, espresso condanna netta. In una nota il segretario generale del Centro islamico romano, Abdellah Redouane, afferma che «gli attentati alla vita umana non sono accettabili dall’Islam e dai musulmani» e per questo invita tutti “a pregare per loro e invocare Allah Altissimo e Onnipotente affinché infonda su tutta l’umanità la Sua grazia e la Sua pace». Per la grande moschea di Roma «è necessario condannare in ogni sede il terrorismo che va contro ogni religione. Oltre al cordoglio e alla condanna bisogna però trovare la forza per unirsi contro la barbarie e la violenza, non solo per garantire e difendere la democrazia, minacciata da forze oscurantiste di inusitata mostruosità». Per Redouane, ancora, «è da condannare ogni silenzio nei confronti di queste tragedie e bisogna invece sostenere chi da sempre è impegnato in prima linea per il dialogo tra le religioni e le culture e per la promozione dei principi di pluralismo e rispetto della libertà».
A Milano, in Arcivescovado, si è riunito, per festeggiare il decennale, il Forum delle Religioni. Dure parole di condanna al nuovo attacco terroristico nella capitale belga sono state espresse durante l’incontro dalle diverse personalità intervenute:
Mohsen Mouelhi, della comunità sufi di Milano, ha detto: «è questo un momento molto difficile anche per noi musulmani perché ci sentiamo colpevoli per quello che fanno altri invece che sentirci due volte vittime. Il dialogo è difficile, è sempre un punto di partenza non di arrivo»;
Ali Faeznia della comunità sciita ha sottolineato che «il mondo si libererà dal terrorismo quando tornerà a Dio, il terrorismo non ha il profumo né dell’uomo né del vero Dio, noi siamo i seguaci del Profeta della Clemenza che non disturba nemmeno una formica, tantomeno può arrecare danno all’uomo. Chi compie attentati fa una cattiva propaganda all’Islam»;
Muhammad Danova dell’Associazione islamica ha espresso a nome della sua comunità «solidarietà per i parenti e i familiari delle vittime di oggi e degli altri attentati in Europa, in Turchia e in Africa» e ha ribadito che «nessuna religione può fare del male» e ha riconosciuto che «occorre fare ancora molto di più per il dialogo».
Complessa e articolata la condanna pronunciata dall’Imam Yahya Pallavicini, vice Presidente della Co.re.is – Comunità religiosa islamica italiana: «Rinnoviamo la nostra condanna per gli attentati a Bruxelles e la nostra solidarietà alle famiglie delle vittime, siamo molto preoccupati per questa escalation di violenza e strumentalizzazione della religione», ha detto, aggiungendo però che questa violenza «va di pari passo con gli errori nelle politiche di integrazione, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni cresciute in Europa». Per l’imam «è necessario creare i presupposti che portino a un forte senso di appartenenza all’Occidente e a una convinta simpatia per la nostra società. Se ci si limita solo ad accogliere come si fa con le merci senza rivalorizzare un senso di identità europea, alla fine molti giovani, non sapendo perché si trovano in un paese, vedono nell’Isis una valida alternativa».
Per fare degli esempi Pallavicini parla della Francia: «Ci sono molti musulmani nati e cresciuti in Francia ma che sono stati ghettizzati e non si sono mai sentiti parte della patria e della società in cui vivono. Stessa cosa in Belgio dove in alcuni quartieri di periferia sembra di stare a Casablanca». Insomma, continua l’Imam, «se si trapianta il disagio e la miseria culturale e sociale del nord africa in alcuni quartieri i figli cresciuti in questo contesto si sentono spaesati nei confronti della Nazione in cui vivono. E questa mancanza di una chiarezza identitaria apre le porte ai falsi predicatori, alle manipolazioni dell’Isis e all’idea di trasformarsi in giustizialisti».
Sempre in Italia, però c’è chi all’Islam e ai suoi luoghi di ritrovo e di preghiera guarda con costante sospetto. Voci critiche, in tal senso, si alzano soprattutto in Lombardia (la legge sulle moschee voluta dalla Regione guidata da Maroni è stata di recente bocciata dalla Corte Costituzionale che la riteneva discriminatoria). Paolo Grimoldi, deputato della Lega Nord e segretario della Lega Lombarda, afferma: «Prima Parigi, ora Bruxelles: di fronte a questa escalation di attentati di matrice islamica e di fronte alla contiguità delle comunità islamiche locali verso questi attentatori è evidente che bisogna intervenire, per prevenire e difenderci dal rischio di attentati sul nostro territorio, partendo dalle moschee e dai luoghi di culto e di ritrovo delle comunità islamiche». In particolare, dice Grimoldi: «anche qui in Lombardia, dove da novembre a oggi ci sono state una dozzina di espulsioni (l’ultima due settimane fa un albanese a Pozzo d’Adda che voleva unirsi all’Isis), di personaggi tutti appartenenti alle comunità islamiche lombarde che avevano manifestato posizioni vicino alla jihad e su cui c’erano fondati sospetti di pericolosità, serve un giro di vite sulle moschee fuori controllo, soprattutto nel bresciano e nel cremonese, le zone dove risiedevano quasi tutti gli espulsi degli ultimi mesi, sugli imam che non parlano italiano e sui troppi fondi dei califfati che piovono qui in Italia e sulla cui provenienza vorremmo vederci chiaro».
METRO
© RIPRODUZIONE RISERVATA