TERRORISMO/BRUXELLES
9:25 pm, 24 Marzo 16 calendario

Il modello italiano per la sicurezza europea

Di: Redazione Metronews
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ROMA Di fronte alle vittime del terrorismo occorre un cambio di mentalità che spinga finalmente i servizi di sicurezza europei a collaborare tra loro, come già accade in Italia. Lo spiega Paolo Magri, vicepresidente e direttore dell’Ispi.
Che cosa stiamo imparando da Bruxelles?
Semmai cosa dovremmo imparare: che se non tralasciamo le gelosie nazionali e non ci mettiamo ad affrontare in modo congiunto la sfida crescente del terrorismo continueremo a piangere morti e a fare minuti di silenzio. 
Dal punto di vista pratico?
Sappiamo ahimè che ogni modifica normativa al quadro europeo per fare passi avanti, nonostante sia auspicabile richiede tempi lunghi. Da 11 anni si discute di un registro unico dei passeggeri che vengono dai Paesi caldi, figuriamoci quanto ci vuole per creare una centrale europea antiterrorismo. In attesa delle modifiche, l’unica cosa immediata e concreta da fare è attivare un coordinamento informale fra intelligence, cioè far sì che gli apparati che ogni Paese ha mettano insieme pezzetti del puzzle, trasformando informazioni che isolate appaiono irrilevanti in un quadro complessivo molto più utile. 
Possiamo dire che i terroristi si muovono in modo più europeo di noi?
Non mi piace pensare a terroristi come esempio di europei. Diciamo che i terroristi sono più veloci di noi. Il terrorismo vive sulla velocità, poche persone che vogliono colpire e intimorire molti, e nella velocità e nella sorpresa hanno la loro forza. Loro riescono a sfruttare al meglio i buchi che noi lasciamo nelle nostre reti.
In più però hanno passaporto europeo…
Sì, ma la cosa agghiacciante è che buona parte delle persone identificate hanno precedenti di criminalità o comune o specifica. Questo è l’elemento più inquietante. In un momento di allerta massima da molte settimane, gli attentati non sono stati fatti da lupi solitari che è difficile prevenire, ma da reti di persone che sono collegate tra loro e a volte ad atri attentati, e hanno precedenti penali per i quali compaiono nelle liste note agli Stati.
Colpa di un pessimo coordinamento fra servizi di sicurezza?
Ogni Paese ha più di un servizio di sicurezza, civile, militare, interno, esterno… Storicamente il primo problema è già che tutte queste realtà si parlino tra loro. Ma a livello europeo i problemi raddoppiano, per gelosie e ritrosie fra un Paese e l’altro.
E l’Italia?
L’Italia ha risolto il primo problema con un meccanismo di coordinameno informale sul fenomeno mafioso e sul terrorismo, per il quale vengono attivati localmente tavoli che si riuniscono periodicamente per condividere una visione complessiva. Questo modello che ha funzionato in Italia può e deve essere attuato in Europa senza necessità di modifiche ai Trattati. E non richiede investimenti o creazione di nuove strutture. Richiede un cambio di mentalità. Ma se la mentalità non cambia di fronte ai morti, allora c’è davvero da essere pessimisti. 
OSVALDO BALDACCI

24 Marzo 2016
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