Torino
5:37 pm, 18 Novembre 21 calendario
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Dieci rider battono Uber Eats

Di: Redazione Metronews
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«È stata fatta giustizia di una condizione di lavoro, quella dei rider, fuori da ogni parametro che getta vergogna sul nostro Paese». Commenta così l’avvocato Giulia Druetta la sentenza del Tribunale di Torino che oggi ha dato ragione ai ciclofattorini di Uber Eats, i quali chiedevano il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato. Il Tribunale del lavoro ha infatti condannato la società collegata a Uber, al termine di una causa promossa da 10 rider. Ai ricorrenti, l’azienda dovrà corrispondere la retribuzione per l’attività svolta oltre alle relative indennità. Sulla vicenda è in corso a Milano un procedimento penale per caporalato.

Rider pagati 3 euro a consegna

Nelle loro varie iniziative giudiziarie, i ricorrenti (spesso stranieri reclutati per lo più nei centri di accoglienza) hanno affermato che erano pagati tre euro a consegna, soggetti a ritmi di lavoro “massacranti”, multati senza vere giustificazioni. «Si lavorava – spiega dopo la sentenza un ciclofattorino, 21enne di origini nigeriane – in qualsiasi condizione, sotto la pioggia, al freddo, ma senza assicurazione e senza tutele. Se capitava un incidente e si chiamava l’azienda non si ricevevano risposte. Ora sono molto contento di questa decisione del tribunale».

I giudici hanno intimato a Uber Italy di versare a ciascun ricorrente la retribuzione e le indennità corrispondenti al periodo di lavoro svolto, riconoscendo il rapporto di lavoro subordinato dei rider con Uber, anche se risultavano assunti dalla società FrcNon hanno invece riconosciuto i danni per la mancata applicazione delle misure di sicurezza e il mancato rispetto della privacy.  «Dalle carte dell’inchiesta penale di Milano – sottolinea l’avvocato Druetta, che ha assistito i ricorrenti – è emerso che ai rider ci si riferiva con termini quali ‘schifosi‘ o ‘senzatetto maleodoranti‘. Ora vedremo come andrà il processo. Ma dal punto di vista dell’inquadramento lavorativo mi sembra chiaro, visto che noi parlavamo di fatti avvenuti ancora nel 2020, che la situazione, nonostante il decreto legge del 2019, non può dirsi risolta. La piaga è da sanare».

18 Novembre 2021
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