Cinema
5:00 am, 8 Maggio 24 calendario

Tràn Anh Hùng: «La gastronomia è l’arte del gusto delle cose»

Di: P.P.
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Arriva nelle sale italiane dal 9 maggio “Il gusto delle cose (La Passion de Dodin Bouffant)” di Tràn Anh Hùng, distribuito da Lucky Red. Presentato al Festival di Cannes, dove ha vinto il Premio per la Miglior Regia, e candidato dalla Francia per la corsa agli Oscar, il film è ambientato nella Francia di fine ‘800 e vede protagonista Juliette Binoche nei panni della cuoca sopraffina Eugénie, da oltre vent’anni collaboratrice del famoso gastronomo Dodin (interpretato dal Premio César Benoît Magimel). Un sodalizio culinario che, col passare degli anni, si è consolidato in una relazione sentimentale.

Eugénie, però, è affezionata alla sua libertà e non ha mai voluto sposare Dodin. Così, lui decide di fare qualcosa che non ha mai fatto prima: cucinare per lei. Non cibi qualsiasi, ma quelli curati dallo Chef stellato Pierre Gagnaire.

A raccontare “Il gusto delle cose” ci pensa il regista, Tràn Anh Hùng.

Come è nata l’idea di questo film?

«Cercavo un argomento che avesse a che fare con la gastronomia, sia come professione che come arte. Alla fine, ho trovato un magnifico libro sulla gastronomia, “La vita e la passione di Dodin Bouffant, Gourmet” di Marcel Rouff».

Quel romanzo inizia con la morte improvvisa di Eugénie Chatagne. Ma lei ha preferito presentarla viva, accanto a Dodin.

«Ho preferito raccontare la storia come un prequel del romanzo di Rouff. Questo mi ha dato la libertà di immaginare la relazione tra Eugénie e Dodin Bouffant. Ed è stata anche l’occasione per esplorare qualcosa di raro nel cinema: lo stato coniugale. Che è ancora più raro quando funziona».

C’è in questa coppia una diversità e una complicità insolite all’inizio del ventesimo secolo…

«Sì, è meraviglioso vedere persone della loro età, “nell’autunno della loro vita” come direbbe Dodin, con una voglia di vivere che definirei classicamente francese. Nessun romanticismo o passione ardente, solo qualcosa di ordinato e sobrio in un rapporto sereno con il mondo e la natura. Apprezzo la douceur e la misura che si trovano nell’arte e nella mentalità francese. In questo senso, penso che il mio film sia decisamente francese».

L’unica cosa che li separa è il matrimonio che Dodin propone a Eugénie e che lei rifiuta: una barriera che li eleva praticamente al livello di mistero.

«La bellezza della loro relazione risiede in quella resistenza. Dodin è ancora innamorato di lei dopo tutti questi anni perché sente di non averla mai posseduta nella sua interezza. Una parte di lei resiste ancora. Mi piace creare momenti in cui uno dei protagonisti – come il pubblico – resta sospeso, senza una risposta definitiva. Queste sono le cose che ci toccano di più nella vita: momenti in cui non siamo del tutto sicuri di cosa il nostro interlocutore stia cercando di dirci. Mi piace particolarmente la sequenza in cui Eugénie e Dodin condividono una frittata, poco prima della sua morte. È una scena molto bizzarra: Dodin non ha idea di cosa lei abbia in mente».

Quando si tratta del cibo invece sono in perfetta comunione. È la moglie di Eugénie Dodin o la sua cuoca? Eugénie decide: è la sua cuoca…

«Questa è la fonte della loro chimica; eleva la gastronomia a vera e propria arte… Cos’è l’arte se non una capacità di godere? La gastronomia punta su un senso estraneo alle altre arti: il gusto. Un artista gastronomico sa distinguere sapori che noi non riusciamo a distinguere con così tanta precisione; sa frullare, misurare, bilanciare sapori, profumi, consistenze, temperature…».

Raramente si è visto il cibo filmato in questo modo…

«Ha ragione. Durante le riprese cinematografiche, di solito usano cibo fasullo, modificato secondo necessità. Qui tutto era reale».

Ha girato con una sola macchina da presa. Come ha fatto?

«Ci sono due tipi di registi: il regista tecnico e il regista che se ne frega. La mia ambizione è appartenere alla prima categoria. Mi piace tracciare i movimenti del mio personaggio e della macchina da presa, il ché mi aiuta a creare un flusso interessante. All’interno di quel layout, in una inquadratura si può passare da un primo piano estremo a un angolo più ampio, da un momento fluido a un momento di riposo e così via. In modo molto musicale. È stato difficile, addirittura snervante per gli attori. Quando erano fuori dall’inquadratura, dovevano cercare il momento giusto per entrarci mentre la macchina da presa si muoveva. Hanno determinato loro il ritmo e io ero nelle loro mani. Sono stato fortunato ad avere attori così meravigliosi».

Ha pensato subito a Juliette Binoche e Benoît Magimel per Eugénie e Dodin?

«Ho pensato subito a Juliette. A Benoît più tardi. Juliette ha una presenza incredibile. Una volta che appare, tutto diventa reale, interessante, commovente. Conferisce al personaggio una forza interiore che rende ancora più palpabile la sua resistenza ai desideri di Dodin. Forse non ne è consapevole, ma quando era con noi, la disciplina sul set era migliorata. E ad essere sinceri, il film non sarebbe mai stato realizzato senza il suo aiuto. Benoît è arrivato più tardi, appena in tempo. È l’attore più rilassato e divertente con cui abbia mai lavorato».

P.P.

8 Maggio 2024
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