Tv Canale 5
5:00 am, 3 Aprile 24 calendario

«Per Vanina sono l’ispettore capo, per mia moglie solo un appuntato»

Di: Patrizia Pertuso
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Vanina – Un vicequestore a Catania è la nuova serie tv in onda il mercoledì in prima serata su Canale 5. Tratta dai romanzi di Cristina Cassar Scalia ha come protagonista Giusy Buscemi, Vanina, e l’ispettore capo Carmelo Spanò interpretato da Claudio Castrogiovanni.

Prima fu Imma Tataranni. Poi arrivò Lolita Lobosco. Infine Vanina Guarrasi: tutte e del Sud, tutte e tre tratte da opere letterarie. È la rivincita delle donne?

«Non credo ci sia bisogno di una rivincita da parte delle donne. Per quanto riguarda Vanina, ho conosciuto il personaggio tramite l’autrice dei romanzi e la Buscemi che le hanno una forza, una solidità e una centratura importanti. Combattere in questi tempi è fondamentale per risvegliare le coscienze di chi magari c’è l’ha un po’ più addormentate, certo. Ma quello che trovo interessante in queste tre serie tv è che si metta in luce il pregiudizio che ciascuno di noi ha riguardo la “passività” delle donne he lavorano per la giustizia: il personaggio di Vanina è scritto in modo molto solido nei libri ed è interpretato altrettanto solidamente nella serie tv».

Allora è la rivincita del Sud: la prima è di Matera, la seconda di Napoli e Vanina di Catania…

«La vera rivincita del Sud è quella che lo vede raccontato non solo per le storie di criminalità, ma anche per altro. Sia la Tataranni che la Lobosco e Vanina rappresentano le colorazioni tipiche dei posti dai quali provengono ed è questa, secondo me, la cosa fondamentale: da siciliano, metterei più a fuoco questo aspetto che non quello criminale».

Lei praticamente gioca in casa, essendo nato a Catania…

«Non solo in casa, in casissima perché ci sono nato sebbene tutti pensino che io sia di Messina perché ho vissuto lì per molti anni. Ho parenti a Catania e ho trascorso un bel pezzo di vita estiva tra Catania e Siracusa. Praticamente, con Vanina ho riscoperto la città a 55 anni girando diverse scene, dal centro storico all’Etna, dai paesetti alle montagne, mangiando costantemente porcherie meravigliose che la città sforna senza sosta. Detta così, sembra quasi che non abbia lavorato…».

C’è stato un posto dove andava da piccolo in cui si è ritrovato a girare qualche scena?

«Ci sono state alcune scene girate su quello che è la plaia, 8 chilometri di spiaggia che parte dal porto sulla quale si affacciano una sequenza di lidi. In uno di questi, si erano conosciuti i miei genitori negli anni ’60 quando proprio in quei luoghi c’era una fervente attività ludica e culturale. Quelle scene mi hanno fatto ricordare i racconti di mamma e papà».

Ho un dubbio: devo chiamarla ispettore capo Carmelo Spanò o avvocato Castrogiovanni?

«L’avvocato Castrogiovanni appartiene a una vita fa: mi sono laureato nel ’94, mi sono abilitato circa due anni dopo, nel ’96. Nel frattempo avevo iniziato a Messina in “Jesus Christ Superstar” diretto da Piparo. In realtà, ho fatto l’avvocato solo nei due anni obbligatori di pratica dopo la laurea anche se la mia profonda volontà prima di scoprire di voler fare l’attore era quella di fare il magistrato: stavo anche studiando per fare il concorso in magistratura».

Allora chiedo all’ispettore capo Spanò: chi è?

«Quello dell’ispettore capo è un ruolo incredibile. Mi è stata data una grande possibilità: a Natale mi è addirittura arrivato un messaggio da un numero sconosciuto in cui mi si facevano i complimenti. Ho scoperto che l’aveva mandato l’autrice dei romanzi dopo aver visto le puntate. È un personaggio che ha il mio stesso senso di protezione nei confronti di chi mi sta intorno, la mia precisione – forse anche eccessiva accuratezza – in tutto quello che faccio e un po’ di ironia disincantata. Ha poi un aspetto nascosto che rivela solo a Vanina riguardo il fatto che la moglie lo ha lasciato e lui, come tanti, vive in funzione del suo lavoro».

Nella serie Spanò condivide con Vanina l’insonnia. Nella realtà lei condivide con sua moglie un’azienda vinicola: si comporta con lei come si comporta con Vanina?

«Assolutamente no. In realtà è mia moglie che dirige l’azienda vinicola. Con lei ho imparato a fare un passo indietro».

Quindi lei è l’appuntato e sua moglie l’ispettore capo?

«Sicuramente lei è l’ispettore capo. È un’attività della sua famiglia ed è capitato molto spesso che io fossi solo “il marito di Flaminia”. Sono solo l’appuntato di secondo livello a cui passare le scartoffie».

Lei ha sempre interpretato ruoli che hanno a fare con la giustizia forse perché le sarà rimasto addosso quel voler fare il magistrato. In “Circeo” era l’avvocato di Angelo Rizzo, in “Il silenzio dell’acqua” era l’ispettore Dino Marinelli, in “Maltese”, il commissario Gianni Peralta. Sembra tanto quel “vorrei ma non posso”… 

«Forse sì, adesso che mi ci fa pensare, potrebbe avere ragione: sto sublimando questo desiderio di giustizia che avevo a 20 anni ora che ne ho 55. Quando sono morti Falcone e  Borsellino io di anni ne avevo 25 e quegli avvenimenti a un siciliano hanno squassato il cuore e la coscienza. Fanno parte di una di quelle linee di demarcazione che restano incise dentro e risuonano per tanto tempo, forse per sempre.  Potrebbe essere un modo per dar corpo a questa esigenza di giustizia nel mondo, nella vita, che purtroppo, però, mi vede sempre più sconfitto».

Sdrammatizziamo: fare l’attore è più comodo, nel senso buono, di fare il magistrato. Lo si fa più a cuor leggero…

«Assolutamente sì. Non mi azzarderei mai a confrontarmi con chi sta sul campo o anche semplicemente con la magistratura ordinaria. Sono molto amico di Alfonso Sabella (il magistrato che è stato sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo di Gian Marco Caselli, ndr) che è una persona che ammiro in maniera eroica. Lui vive costantemente sulla sua pelle quello che ha subìto nei periodi in cui si doveva nascondere e le conseguenze inique che gli si sono presentate davanti a causa del suo agire rispettando i codici di legge».

Una domanda all’avvocato “convertito” all’arte: teatro cinema o tv, quale sceglie?

«Ho una passione fin da quando ero piccolo per il cinema. Mia nonna mi ci portava 2 o 3 volte la settimana e credo di aver messo a fuoco questo grande amore quando vidi “Amleto” di Zeffirelli con Mel Gibson. Però amo anche il teatro, il primo che mi ha accolto e mi ha fatto capire che avrei potuto vivere anche un’altra vita. In questo momento fare teatro in Italia purtroppo è più complesso di quando ho cominciato io, attraversando l’Italia in lungo e largo per mettere in scena circa 150 spettacoli l’anno».

Molti musical…

«Sì, molti musical. Poi ho fatto anche commedie e prosa. È difficile far conciliare il teatro con l’attività televisiva e cinematografica: o si fa solo teatro o non c’è n’è. Adoro fare cinema e televisione. Quindi, al primo posto mettiamo il cinema e al secondo il teatro e la tv a pari merito».

Un ruolo che vorrebbe assolutamente interpretare a costo della vita in televisione, al cinema e in teatro. Qualsiasi ruolo.

«Ho avuto la fortuna e l’opportunità di girare un film che si chiama “Spiaggia di vetro” con la regia di Will Geiger. Si tratta di una storia ambientata sullo Stretto di Messina in cui il protagonista è un pescatore che vive una tragedia più grande di quella che un corpo umano può sopportare e lo fa affrontando la vita su una barca con cui dà la caccia al pesce spada insieme a un bambino, figlio di una donna di origini africane che ha occupato la casa del padre. Insomma, è una storia che quando l’ho letta ho detto: “Ecco questo è il personaggio che avrei sempre voluto fare”».

Un personaggio teatrale?

«Ho letto un testo che mi è stato inviato di recente di un autore contemporaneo che è molto interessante; si intitola “Il lupo” e  vorremmo metterlo in scena con la regia di Francesco Giuffrè. Mi piacerebbe comunque fare uno spettacolo con un gruppo di attori lavorando sempre su testi contemporanei».

Se mi parla di gruppo di attori mi viene in mente il collettivo “Voci nel Deserto” di cui lei fa parte e che si muove tra teatro, cinema e musica. Passione teatrale o “danno” del senso di giustizia di cui soffre?

«L’operazione “Voci nel deserto” è nata nella testa di Marco Melloni e quando l’ha partorita eravamo più o meno conviventi. E’ un autore, uno scrittore e uno sceneggiatore grandissimo mentre io non avevo mai scritto. “Voci” è un’operazione che ha la forza del teatro sociale che è quello che mi piacerebbe poter fare in maniera sensata e concreta.  Parte dal presupposto di utilizzare le “Voci” di chi aveva già previsto anni e anni fa quello che in realtà sta succedendo oggi e viene raccontato sui giornali. Recitiamo il pezzo in teatro o in altri spazi e solo alla fine sveliamo chi è l’autore: a volte capita che si scopra che Erodoto ha parlato di immigrazione, per esempio. Con Marco come autore ho fatto uno spettacolo, “Mistero Buffet”, sull’idiosincrasia dell’italiano al buffet: per un’ora e un quarto ero in scena a recitare mentre cucinavo una carbonara che poi servivo in forma di buffet al pubblico in sala».

Non oso chiedere come sia finita la vostra convivenza…

«Siamo rimasti una “coppia aperta”…».

Finora ci ha detto che ha una moglie ispettore capo in un’azienda vinicola, una “separazione consensuale” con un autore e che sa cucinare la carbonara. Ci sveli l’ultimo segreto e via.

«In realtà, non ho segreti».

Dicono tutti così.

«È vero, sono una persona molto schietta».

Non si faccia pregare….

«Un giorno, vorrei curare la regia di un cortometraggio: ecco, questo non l’ho mai rivelato a nessuno. Verbalizzi».

In cui interpreterebbe il magistrato, il poliziotto l’avvocato o il criminale?

«Assolutamente no, non starei in scena. Verbalizzi pure questo».

PATRIZIA PERTUSO

 

 

3 Aprile 2024 ( modificato il 2 Aprile 2024 | 10:50 )
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