PREVIDENZA
5:14 pm, 18 Gennaio 23 calendario

Il sistema pensionistico regge: ma le deroghe sono un problema

Di: Andrea Bernabeo
Sistema pensionistico
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Un sistema pensionistico in salute ma che va mantenuto sui giusti binari. Questo è quel che emerge dal Decimo Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2021”, redatto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

Gli elementi sono così riassumibili: intanto aumenta, ancora una volta, il numero di pensionati. Che salgono dai 16,041 milioni del 2020 ai 16,099 del 2021 (+57.547 unità). Poi, dopo la crisi causata da COVID-19, torna a crescere sensibilmente (oltre 550mila i lavoratori “recuperati”) il numero di occupati. Che a fine giugno 2022 superano infatti i 23 milioni. Poi migliora anche il rapporto tra  occupati e pensionati, che nel 2020 si fermava a 1,384, mentre nel 2021 arriva a 1,4215.

Sistema pensionistico in equilibrio

Quelli commentati questa mattina, in diretta streaming dalla Sala Stampa della Camera dei Deputati, sono dati che descrivono un sistema pensionistico in equilibrio, al netto dell’assistenza. Ma la cui stabilità rischia di essere minata dalle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero. E poi anche dall’incapacità di affrontare adeguatamente l’invecchiamento della forza lavoro ed, infine, da livelli occupazionali da fanalino di coda in Europa per quanto in miglioramento.

Pensionati e prestazioni

Dopo un trend positivo avviatosi nel 2009, e proseguito in modo costante fino al 2018 per effetto delle ultime riforme previdenziali, che hanno innalzato gradualmente requisiti anagrafici e contributivi, il numero di pensionati si mostra di nuovo in risalita. I percettori di assegno pensionistico sono 16.098.748 nel 2021 (ultimo anno di rilevazione), a fronte dei 16.041.202 del 2020.

Un incremento ascrivibile alle numerose vie d’uscita in deroga alla Fornero introdotte dal 2014 in poi e culminate nel 2019 nell’introduzione di Quota 100. Ma comunque inferiore a quanto ci si aspettasse dopo la ripetuta conferma degli ultimi anni di vari provvedimenti finalizzati all’anticipo pensionistico (APE sociale, Opzione Donna, etc.).

All’1 gennaio 2022 risultavano in pagamento presso il solo settore privato INPS 353.779 prestazioni previdenziali con durata quarantennale. Erogate, cioè, a persone andate in pensione nel lontano 1980 o ancora prima. Il decremento rispetto all’anno precedente, quando se ne contavano 423.009, è del 16,4%. Si tratta quindi di 69.230 prestazioni eliminate, parte delle quali anche a causa del nuovo coronavirus, i cui esiti si sono manifestati più severamente nei confronti degli over 65.

In particolare, il Decimo Rapporto rileva una crescita di 57.546 pensionati rispetto al 2020. Vale a dire lo 0,36% in più in termini di variazione percentuale. Le pensionate aumentano rispetto all’anno precedente di 20.219 unità, mentre gli uomini crescono di 37.327 unità. A ogni modo, degli oltre 16 milioni di pensionati italiani il 51,8% è rappresentato da donne, tra l’altro destinatarie dell’87% del totale delle pensioni di reversibilità (con quote della pensione diretta del dante causa variabili tra il 60% e il 30%, in base al reddito del superstite).

Per quanto riguarda il numero di prestazioni, al 2021 risultano in pagamento 22.758.797 prestazioni pensionistiche, 17.719.800 delle quali erogate nella tipologia IVS. A cui vanno aggiunte 4.379.238 pensioni assistenziali INPS e 659.759 prestazioni indennitarie dell’INAIL. Nel complesso, le prestazioni registrate nel 2021 sono 41.677 in più dell’anno precedente, ma comunque inferiori alle 22.805.765 del 2019. Ogni pensionato riceve in media 1,4137 prestazioni, il livello più basso dal 2007. Detto altrimenti, è in pagamento una prestazione ogni 2.592 abitanti, vale a dire circa una per famiglia.

Tenuto conto della riduzione della popolazione residente (-274.878), anche questo valore è in calo rispetto alle ultime rilevazioni. Ma salirebbe invece a quota 2,1 per abitante tenendo conto anche di reddito di cittadinanza e trattamenti assistenziali erogati dagli enti locali.

 Occupati

Dopo la perdita di 537mila unità causata da SARS-CoV-2 e misure di contenimento dei contagi, nel 2021 sale il numero degli occupati, riportandosi a oltre 22,8 milioni di unità, per un tasso di occupazione totale pari (secondo l’Istat) a circa il 60%, di fatto in linea con quello del 2019. C

Con l’allentarsi dell’emergenza sanitaria, cala significativamente anche il ricorso alla Cassa Integrazione e ad altri ammortizzatori sociali, in costanza o in assenza del rapporto di lavoro: nel 2021 sono state autorizzate complessivamente 2.821.165.153 ore. Il 35% in meno del 2020, quando la CIG aveva riguardato oltre 7,4 milioni di lavoratori. Tra CIG e NASpI, l’ammontare totale – trattamenti + coperture figurative – degli interventi di sostegno al reddito è stato di poco superiore ai 27 miliardi. Cui vanno aggiunti i circa 500mila beneficiari della legge 104/1992, per una spesa di 1 miliardo.  Considerando anche le misure imputabili a COVID-19, nel 2019 la somma si aggirava invece intorno ai 42 miliardi.

Sistema pensionistico, Brambilla: “Occorre una revisione equa e duratura”

Occorre una revisione del sistema previdenziale che sia «equa, stabile e soprattutto duratura». Questa è la convinzione di Alberto Brambilla, presidente del Centro studi itinerari Previdenziali.

«Negli ultimi anni – ha infatti spiegato Brambilla presentando il Rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale italiano – la discussione politica si è concentrata quasi esclusivamente sulle formule per accedere con anticipo al pensionamento. Con il risultato di introdurre sì flessibilità. Ma anche di vanificare buona parte di quei risparmi che la riforma Monti-Fornero mirava a ottenere.

E’ allora giunto il momento di darsi regole certe per almeno i prossimi 10 anni, limitando le anticipazioni a pochi ma efficaci strumenti (come fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà). Bloccando poi l’anzianità contributiva (da sganciare dall’aspettativa di vita) agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 per le donne. Con riduzioni per donne madri e precoci, così come previsto dalla riforma Dini, e superbonus per quanti scelgono di restare al lavoro fino ai 71 anni di età. E soprattutto equiparando le regole di pensionamento dei cosiddetti contributivi puri a quelle degli altri lavoratori».

«Non si possono infatti più trascurare – è il pensioro di Brambilla – le ingiuste regole che non garantiscono a quanti hanno iniziato a lavorare nel gennaio 1996. Nè l’integrazione al trattamento minimo, a sua volta da commisurare all’anzianità contributiva. Nè la possibilità di accedere alla pensione di vecchiaia anticipata in assenza di una rendita pari ad almeno 2,8 l’importo dell’assegno sociale. Stiamo parlando di circa 1.300 euro. Davvero difficili da maturare in un contesto lavorativo come quello attuale».

Cuzzilla (Cida) “Separare i conti della previdenza da quelli dell’assistenza”

«Prima di mettere le mani sugli assegni pensionistici o ragionare su ipotesi di riforma del settore, sarebbe bene separare i conti della previdenza da quelli dell’assistenza. Noi abbiamo quasi la metà delle pensioni non coperte da contributi. Parliamo di 7 milioni di persone assistite su 16 milioni di pensionati. La spesa per assistenza cresce al ritmo del 6% all’anno. Quella per le pensioni frutto di contribuzione è in sostanziale equilibrio. Quindi non è vero che i conti pensionistici sono in rosso. Piuttosto è vero che con le pensioni frutto di una vita di lavoro si sta finanziando un’altra spesa che altrimenti non si saprebbe come sostenere». E’ quanto dice Stefano Cuzzilla, presidente di Cida, al rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano curato dal centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali.
«Non è in discussione aiutare chi ha meno, che è il fine di ogni welfare state, ma occorre tutelare chi è onesto e scovare chi evade. Vanno incrociate le banche dati degli enti pubblici e -aggiunge Cuzzilla- verificare come mai ci risultano soltanto 5 milioni di contribuenti (pensionati compresi) che dichiarano più di 35mila euro lordi l’anno e che restano praticamente soli a pagare il welfare di tutti».

 

18 Gennaio 2023
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