Prodotti surgelati possibile “veicolo”
GB Le confezioni di alimenti surgelati potrebbero rappresentare un veicolo di diffusione per il nuovo Coronavirus. A rivelarlo uno studio, pubblicato sul sito open access BioRxiv, condotto dagli esperti del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, che hanno trovato e isolato un campione di coronavirus sull’imballaggio esterno di una confezione di merluzzo congelato. «Finora erano state trovate solo delle tracce del virus sulle confezioni congelate – afferma Jin Dong-Yan, virologo presso l’Università di Hong Kong – ma il nostro lavoro suggerisce la possibilità che Sars-CoV-2 venga trasportato tramite prodotti surgelati. Non si può escludere che i pazienti abbiano contaminato i prodotti ittici congelati con il Coronavirus stesso, ma potrebbe essere stato anche il prodotto stesso la fonte delle infezioni».
Il caso di Qingdao
L’esperto aggiunge che le fabbriche di alimenti surgelati sono state oggetto di diversi focolai di infezione, ma è probabile che siano gli assembramenti ad aver facilitato la diffusione del virus, piuttosto che le basse temperature in assoluto. La Food Standard Agency nel Regno Unito e l’Organizzazione mondiale della sanità assicurano che il rischio di contrarre il virus dagli alimenti congelati è estremamente basso. «Il contatto di imballaggi contaminati potrebbe portare a contrarre l’infezione – afferma Dong-Yan – sono stati infatti isolati campioni di patrimonio genetico del virus». Il team riporta il caso dell’epidemia a Qingdao che potrebbe essere collegata a due lavoratori portuali ritenuti asintomatici agli inizi di settembre durante un test di routine del personale dell’azienda, e sottoposti a controlli presso il Qingdao Chest Hospital a distanza di pochi giorni. «L’epidemia di Qingdao ha spinto le autorità a lanciare un ambizioso screening di massa il 12 ottobre – riportano gli esperti – e in quattro giorni sono stati effettuati più di 11 milioni di test. Dalle analisi sembra che i due lavoratori portuali condividessero un’esposizione comune nei prodotti di importazione, ma non abbiamo una risposta certa a riguardo».
Rischio teorico e basso
I ricercatori precisano che non esistono casi documentati di individui infettati da cibi congelati, citando i risultati relativi a test effettuati su 2,98 milioni di campioni prelevati da aziende in tutto il paese, inclusi 670 mila analisi del packaging di prodotti surgelati e imballaggi alimentari. Tra questi, solo 22 sono risultati positivi al virus, ma, come precisano gli autori, è estremamente improbabile che il livello di cariche virali riscontrate sia sufficiente a trasmettere l’infezione. «Penso che ci sia sempre stato un rischio teorico di trasmissione tramite imballaggi di alimenti – commenta Michael Head dell’Università di Southampton – paragonabile a quello che si corre toccando maniglie e pulsanti. Ma in realtà il rischio di trasmissione attraverso queste vie rimane molto limitato, specialmente se si mantiene una corretta igiene delle mani». Gli autori specificano che il tempo di permanenza del virus sulle superfici dipende dal materiale considerati e dalla temperatura in cui si trova. Plastica e acciaio inossidabile, ad esempio, a temperatura ambiente consentono la sopravvivenza dell’agente patogeno dai tre ai sette giorni.
«Indagare più a fondo»
«Anche se si può affermare con sicurezza che la trasmissione attraverso il cibo contaminato non sia una delle principali vie di infezione – sostiene l’esperto – il potenziale di movimento di oggetti contaminati dal virus deve essere considerato con attenzione». «Inutile creare allarmismi – commenta Emily Miles, amministratore delegato della Food Standards Agency – il rischio di trasmissione di Covid-19 attraverso il consumo o la manipolazione di alimenti o imballaggi alimentari rimane molto basso e c’è una serie di fattori che dobbiamo considerare prima di demonizzare i prodotti surgelati». «Per preservare un virus – interviene Calum Semple, esperto di epidemie di malattie presso l’Università di Liverpool – le condizioni più favorevoli riguardano temperature basse e assenza di luce ultravioletta. Ma la sola temperatura non sembra essere un fattore di controllo nelle epidemie di Coronavirus». Gli scienziati ipotizzano che, sebbene le basse temperature tipiche della refrigerazione possano effettivamente contribuire alla diffusione del virus, è più probabile che siano la vicinanza tra i lavoratori e il numero di persone a influenzare la facilità di trasmissione dell’infezione nei centri di refrigerazione. «Sarà necessario indagare più a fondo per comprendere meglio queste dinamiche – conclude Head – e valutare se un’applicazione più rigida delle misure di distanziamento sociale e obbligo di mascherina avrebbe potuto contribuire a contrastare l’epidemia di Qingdao».
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