Giornalismo sotto assedio
8:27 am, 26 Maggio 16 calendario

Giornalisti minacciati la Fnsi è parte civile

Di: Redazione Metronews
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Catania.Sembra una scelta scontata ma non lo è. Sembra un passaggio obbligato ma è un gesto forte che mira a ridimensionar eun fenomeno che è cresciuto sempre di più e che mina direttamente la libertà di stampa e il diritto del cittadino a informarsi. Oggi a Catania la Federazione nazionale della stampa presenterà richiesta di costituzione di parte civile nell’ambito del processo contro i presunti autori delle minacce e delle aggressioni nei confronti del collega Paolo Borrometi: è stata presentata ieri nella sede della Fnsi l’iniziativa che vedrà il sindacato dei giornalisti al fianco dei cronisti minacciati per via del loro lavoro.
Bavaglio preventivo
Querele e minacce che in una professione minata anche dal precariato arrivano spesso all’obiettivo: tacitare chi vuole fare inchieste scomode. 
«Un messaggio a tutti i colleghi per ribadire loro che non sono soli contro chi vorrebbe metterli a tacere», ha sottolineato il segretario generale Raffaele Lorusso aprendo la conferenza stampa e anticipando che si tratta di un primo passo verso la costituzione di uno sportello europeo a sostegno dei cronisti che subiscono minacce o aggressioni.
Dal 2001 al 2014 sono stati 2060 i casi di minacce censiti ai danni di migliaia di giornalisti italiani da parte delle organizzazioni criminali. Probabilmente queste cifre sono solo la punta dell’iceberg, perché tengono conto soltanto degli episodi conosciuti e denunciati.
Oggi il primo processo
Un ringraziamento è arrivato dal diretto interessato, il giornalista dell’Agi Paolo Borrometi, «anche a nome di tutti i colleghi e le colleghe, e sono tanti, che ogni giorno si trovano a svolgere il proprio lavoro in territori difficili. I cittadini devono rendersi conto che chi minaccia i giornalisti per cercare di impedire loro di lavorare, in realtà minaccia i lettori stessi».
L’intervista/ NELLO TROCCHIA
Roma. Da buon cronista Nello Trocchia è abituato a fare domande. Le sue, da mesi, non hanno ancora ricevuto risposta.
La notizia arrivò quasi un anno fa, a luglio 2015. Il fratello di un boss intercettato al telefono disse, parlando di lui: «A que giornalista gli spacco il cranio». 
Nello, napoletano, lavora al Fatto, a La Gabbia, è uno di quei cronisti che rompono le scatole, che fanno inchiestescomode, insomma. 
La tua vita è cambiata?
Ho osservato la professione da un’altra angolatura. Ho osservato il silenzio di alcuni colleghi ma anche la solidarietà di altri. E vengono in mente i giornalisti minacciati e soprattutto quelli precari, che non hanno contratti di lavoro sicuri, che a ogni articolo rischiano tutto, e queste intimidazioni sono mirate ad ottenere il condizionamento della scrittura.
Nel tuo caso non è stato così. 
Io ho usato queste minacce per dar voce a tanti altri colleghi che subiscono querele temerarie e minacce. Non sono solo purtroppo su questo fronte.
Com’è la situazione ora?
Ho chiesto alla prefettura attraverso il mio avvocato se il rischio persiste, se quando vado in luoghi pubblici per dibattiti o incontri i parenti del boss che mi minacciarono e che sono a piede libero vengono in qualche modo controllati. Ebbene non ho ricevuto risposte. So che è predisposta la vigilanza con un’auto sotto casa mia. Ma a Napoli, mentre io vivo abitualmente a Roma. 
STEFANIA DIVERTITO

26 Maggio 2016
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