Milano Mostre
5:00 am, 17 Aprile 24 calendario

«La Polaroid che vorrei scattare? Quella al Papa vestito da Drumohr»

Di: Patrizia Pertuso
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Ha scelto la boutique di Drumohr come location per la mostra Portraits in cui ha esposto alcuni dei suoi celebri scatti ai vip di Hollywood (tra cui Johnny Depp, Catherine Zeta Jones, Javier Bardem e Salma Hayek) e non solo, realizzati con la sua immancabile Polaroid seguendo una tecnica a mosaico. Lui è Maurizio Galimberti.

Cos’è per lei la fotografia?

«Sicuramente per me è la vita. Vivo di quello perché l’ho voluto io. È un sogno che si è realizzato. Posso dire che è la vita di un sogno».

Una vita tra passato e futuro viste le foto che scatta con una Polaroid.

«Assolutamente sì. Usando la Polaroid la mia fotografia sembra quasi una cosa antica, passata. Poi, invece, si scopre che la Polaroid è molto contemporanea ed è un linguaggio che, forse anche grazie al mio lavoro fatto negli anni, è sopravvissuto e rappresenta una nuova linfa. I giovani che sono nati e vissuti nell’era digitale, a un certo punto, hanno scoperto che c’era qualcosa di analogico e di incredibile come la Polaroid e hanno iniziato a usarla. È un mezzo senza tempo. Ripeto sempre che, nella sua imprecisione e imperfezione, la fotografia istantanea è qualcosa di magico. Anche Andy Warhol era innamorato della Polaroid: ho avuto la fortuna di fotografare Chuck Lawson e lui mi diceva che Warhol amava di più la Polaroid che i suoi fidanzati».

Come nasce l’idea di sezionare l’immagine creata con diversi scatti Polaroid?

«Quando ero piccolino ero in un orfanotrofio a Como e vedevo il mondo attraverso le sbarre delle finestre. Queste grate gigantesche formavano un punto di visione diviso in 12 quadratini. Poi, quando sono andato a vivere a casa dalla famiglia Galimberti che mi ha adottato, mio papà mi portava in cantiere con lui. Anche lì vedevo il mondo attraverso i riquadri dei ponteggi. Credo che la scomposizione nasca da lì, da quella grata dell’orfanotrofio e da quei ponteggi del cantiere. Ho cominciato a sentire la magia del mosaico. Grazie a Cesare Cassina, grande guru del mondo del design italiano e non solo, mi sono avvicinato ai mosaici del Bauhaus collegandoli a quelli di piazza Armerina in Sicilia, a quelli bizantini e a quelli ravennati. Da lì mi è venuta l’idea del mosaico anche se è molto più difficile fotografare a mosaico che non fare uno scatto normale. Nasco sicuramente come fotografo “one shot”, ma il mosaico è diventato la mia cifra stilistica e ne sono contento perché oggi trovarsene una personale non è facile».

Nel panorama fotografico c’è molta omologazione?

«Tantissima. I lavori sono tutti uguali, perfetti e asettici. Ci sono foto piene di accademia che, dopo un po’, mi fanno venire l’angoscia: sono scatti che si autogestiscono nella loro perfezione. Io amo la fotografia imperfetta. Pensi che se in uno scatto c’è una macchia, la lascio perché così deve essere per evitare di essere globalizzati e uniformati. Soprattutto oggi con l’intelligenza artificiale dobbiamo difendere l’errore che nasce dall’artigianalità».

A proposito di “imperfezioni”, lei hai fotografato tantissimi divi: quale è stato quello più capriccioso?

«Sicuramente Ligabue».

Perché?

«Ha voluto scattare in uno sgabuzzino e ha voluto prodotti molto particolari per il trucco».

Veniamo a oggi. Galimberti e Drumohr: come nasce questo incontro?

«Da una grande amicizia: la famiglia Ciocca di Brescia è stata la mia prima collezionisti negli anni ’90. I figli di Luigi, Michele e Filippo, li ho visti fin da quando erano ragazzini. Quando mi hanno proposto di esporre da loro ho accettato subito. E’ un po’ un ritorno alle origini, a casa Ciocca, stavolta non condividendo con Luigi un lauto pranzo, ma a “casa” di Michele e Filippo tra questi capi di qualità».

C’è qualche capo di Drumohr che le piacerebbe fotografare? E indossato da chi?

«Se posso dirlo mi piacerebbe fotografare il Papa che indossa il “biscottino”, il maglioncino con l’iconica stampa Drumohr. L’ho sempre visto addosso a Agnelli che è stato un papa laico, mi piacerebbe vederlo indossato da un Papa vero».

Immediata la risposta di Michele Ciocca, Presidente di Drumohr: «È un’idea che non conoscevo, mi sembra ottima. Potremmo farne uno con i colori papali, quindi panna e giallo». E alla domanda se c’è qualche capo della nuova collezione che le piacerebbe fosse immortalato dalla Polaroid di Galimberti risponde: «L’ultimo progetto che abbiamo firmato riguarda la serie Rainbow del nostro “biscottino”: si tratta di una serie limitata per sole 150 persone. Sarebbe divertente far realizzare una Polaroid di Maurizio su quello». Per quanto riguarda il futuro, Ciocca non ha dubbi: «Quindici anni, fa quando abbiamo iniziato, questo progetto era un’azienda di maglieria. Oggi, invece, è un total look per uomo e donna. Continueremo a perseguire questa strada tenendo ben presente le indicazioni del nostro consumatore che sono ben precise: una collezione iconica, scozzese, colorata e un po dandy».

PATRIZIA PERTUSO

 

17 Aprile 2024 ( modificato il 16 Aprile 2024 | 11:12 )
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