«L’arte della fuga? Per battere la quotidianità»
CINEMA Tre fratelli come un piccolo campionario di mondo maschile. In fuga dalle responsabilità. Uno vive con Adar, forse comprerà con lui una casa, ma sogna Alexis; un altro è innamorato di Mathilde ma sta per sposarsi con Julie e il terzo, ostinatamente disoccupato, sogna il ritorno della moglie che lo ha lasciato ma è pronto a cadere tra le braccia della stravagante Ariel che ha l’aspetto materno di Agnès Jaoui. E tutti e tre si esercitano ne L’arte della fuga, come recita il titolo del film dall’omonimo romanzo dell’americano Stephen McCauley, già campione di incassi in Francia, firmato da Brice Cauvin, a Roma per presentarlo in attesa dell’uscita il 31 maggio.
Voleva raccontare l’insostenibile pesantezza della quotidianità con leggerezza?
Sì. I personaggi sono incapaci di andare avanti nella loro quotidianità e per questo diventano divertenti e puoi creare empatia con lo spettatore. Al festival di San Francisco uno spettatore mi ha detto che dopo “Hannah e le sue sorelle” di Woody Allen finalmente c’è “Antoine e i suoi fratelli” e mi ha fatto davvero piacere.
La musica è utile per raccontare tutto come una melodia?
Lavoro ascoltando musica che m’ispira, ascolto dieci o venti volte un pezzo e con esso entro nel cuore di una scena. Quindi certo, ho scritto la sceneggiatura come uno spartito in cui ogni personaggio è uno strumento che suona una propria musica.
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