REPORTAGE DI NASCITA
2:35 pm, 29 Marzo 18 calendario

«Vi racconto i miei reportage di nascita»

Di: Redazione Metronews
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RIETI Il momento esatto in cui l’amore di una madre e di un padre esplodono nel miracolo della vita fissato per sempre in uno scatto, a futura memoria del proprio figlio. La tensione emotiva, la paura, il dolore, il primo sguardo tra genitori e neonato, senza filtri, dal travaglio al taglio del cordone ombelicale: tutto questo è il reportage di nascita.  «Non semplice fotografia, ma una vera e propria arte», spiega a Metro Chiara Sansoni, fotografa professionista pioniera e  ideatrice del progetto pilota  “Venire alla luce” presso l’Ospedale De Lellis di Rieti.
Come è nato il progetto?
Riprendere la vita nuova ha un fascino enorme. Mi emoziona nel profondo.  Alcuni anni fa sono venuta a contatto con delle fotografe australiane, che praticavano già da anni nel loro Paese la birth photography. Allora ho iniziato a pensare di proporlo anche in Italia. Sono entrata in contatto con Chiara Caponnetto, che stava lavorando ad un  progetto simile per l’Ospedale Civico di Palermo e con la quale ancora ci teniamo in contatto scambiandoci le esperienze.
I vertici ospedalieri sono stati subito disponibili?
Il percorso per fare accogliere questo progetto in ospedale è stato lungo e articolato, ma ho avuto la fortuna di entrare in contatto con amministratori aperti che hanno compreso l’importanza di mostrare alla donne la forza potente di cui sono naturalmente capaci quando danno alla luce un altro essere umano. Il percorso è stato lungo, ma nessuno mi ha detto no.
Quanto durerà?
Il progetto, partito a gennaio di quest’anno, durerà 12 mesi alla fine dei quali allestiremo una mostra con le più belle foto dei reportage. Alle donne viene proposto il reportage, che è gratuito,  durante i corsi preparto. A chi accetta, regalo poi un ingrandimento a scelta.
Quanti reportage ha fatto finora?
Da gennaio  sono stati tre. Un parto naturale, uno in acqua e un cesareo.
 
Il reportage  è previsto anche per i parti cesarei?
Sì e  devo dire che in particolar modo per questo tipo di parto, il mio lavoro è ancora più importante, perché la mamma non riesce a vedere quasi niente e in genere i papà non sono ammessi. Anche nel caso di quelli naturali, avere un fotografo professionista durante il parto, fa sì che i papà possano godersi il momento senza doversi improvvisare fotografi.
 
Come riesce a non intralciare medici e ostetriche?
La mia presenza è molto discreta: so come muovermi e devo dire che anche se il mio coinvolgimento emotivo è immenso, è un tipo di lavoro che richiede grande maestria tecnica. Basti pensare al continuo movimento degli operatori sanitari, della mamma in travaglio, alle luci che cambiano a seconda della sala in cui avviene il parto.
 
Perché per lei è così importante fissare questi momenti con la macchina fotografica?
Perché credo che ognuno di noi vorrebbe poter respirare il grande amore in cui è venuto al mondo. Cerco ancora oggi foto che da piccola mi ritraggono con mia  madre o con mio padre per poter rivivere le emozioni di quell’abbraccio, quella sensazione di essere amata completamente. Noi mamme spesso fotografiamo i figli, ma quello che loro vogliono vedere è la nostra relazione con loro.  Il nostro modo di guardarli, di amarli.
Proporrà il suo progetto in altri ospedali?
Ci sono dei discorsi in atto con alcune strutture nel Lazio che cominciano a guardare al reportage di nascita come un valore aggiunto da offrire alle proprie partorienti. Sono convinta che questo tipo di approccio sia necessario in un tempo come quello di oggi, in cui la famiglia è fragile e disgregata.
VALERIA BOBBI

29 Marzo 2018
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