Pianeta Terra
10:08 am, 1 Febbraio 18 calendario

“Questa Terra è fragile E non esiste un piano B”

Di: Redazione Metronews
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Un pianeta fragile con alcune zone sorvegliate speciali. Il 2018 deve segnare un cambio di passo sostanziale nella tutela della nostra Terra perché “non esiste un piano B”. Ma le prime notizie dell’anno non confortano di certo, a partire dall’incidente nel mar Giallo che ha visto bruciare e diffondersi in mare tonnellate di petrolio e, l’ultima, di lunedì, la piattaforma petrolifera esplosa in Oklahoma. Una vicenda i cui contorni non sono ancora del tutto definiti. È questa la fotografia di un ambientalista doc, Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia.
Alcuni luoghi del pianeta sono più importanti di altri? Sono da tutelare particolarmente?
Sono più fragili, sì, e da tutelare immediatamente. Anche per il loro immenso valore per il clima e la biodiversità. Penso ai poli, in particolare. Le calotte glaciali, che sono come “trappole per il freddo”, sono importantissime per regolare il clima del pianeta. Se continuiamo a distruggerle, come sta accadendo, le conseguenze saranno gravi.
Per questo Greenpeace ha lanciato una campagna proprio in questi giorni sull’Antartide?
Sì, per sottolineare l’importanza di una delle ultime aree selvagge della Terra. Ma altrettanto fondamentale è la tutela delle foreste pluviali, penso all’Amazzonia, al bacino del Congo e alle foreste indonesiane. Custodiscono il massimo della biodiversità del nostro Pianeta.
Minacciate dal taglio selvaggio e dalle estrazioni petrolifere.
Le politiche, locali, nazionali e internazionali, troppo spesso non hanno una visione complessiva e soprattutto a lungo termine. Si pensa allo sfruttamento immediato di quella risorsa oggi senza contare che essa compone un tassello irrinunciabile per la stessa sopravvivenza delle generazioni future.
Torniamo alla petroliera…
Quel tratto di mare è già eccessivamente sfruttato. La presenza di bassi fondali ne fa una zona di pesca di primaria importanza. È difficile oggi calcolare i danni di quel petrolio disperso in mare: in pochi giorni la chiazza di idrocarburi è triplicata (ormai siamo oltre 300 km2). Purtroppo, questi incidenti e l’inquinamento colpiscono tutti gli oceani. Oltre a sostanze tossiche, i mari sono sorvegliati speciali per la plastica, innanzitutto, e per l’eccessivo sfruttamento. Mi piacerebbe poter sperare in un’inversione di rotta anche per il nostro Mediterraneo, ma i segnali per ora sono veramente timidi: con le sole chiacchere non si ripulisce, o ripopola, il mare.
Ognuno di noi cosa può fare?
Cambiare abitudini quotidiane, ridurre gli sprechi e aumentare la sua consapevolezza di cittadino/consumatore. Ad esempio: che senso ha continuare a usare prodotti monouso di carta e plastica? Perché una persona adulta, in buone condizioni fisiche, deve usare una cannucce per una bibita? Quella cannuccia magari la producono in Cina, viaggia 20 mila chilometri e arriva a casa nostra dove la usiamo due minuti. Poi la gettiamo via. Resterà in giro 500 anni, se non finisce in un inceneritore (dove rischia di produrre diossina). Sennò in discarica, oppure semplicemente dispersa: alla fine, fatalmente, arriverà in mare. Non lamentiamoci poi se l’immondizia che gettiamo in mare ci torna sulla tavola quando mangiamo pesci e molluschi. Quello che gli facciamo, l’ambiente ce lo restituisce: non possiamo correre il rischio di abituarci all’immondizia e a un livello sempre più basso della nostra qualità della vita. Dobbiamo tornare a indignarci, reagire.
STEFANIA DIVERTITO

1 Febbraio 2018
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