INTERVISTA
1:00 pm, 19 Dicembre 17 calendario

La ricerca? Si può fare anche made in Italy

Di: Redazione Metronews
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ROMA. Per chi conosce i Castelli romani riesce difficile immaginare che vi si possa vivere per 24 anni e poi diventare un brillante ricercatore. Come Flavia Michelini, nata a Frascati nel 1986, cresciuta a Colonna tra le vigne, e oggi prima autrice di un’importante ricerca appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Cell Biology, che potrebbe un giorno fornire delle prospettive concrete ed efficaci nella lotta contro il cancro. Un risultato in gran parte italiano (con la collaborazione dell’università del Michigan), frutto di un lavoro di 8 anni all’Ifom di Milano.
L’eccellenza del Made in Italy nella ricerca…
Fare ricerca in Italia si può e anche ad alti livelli. Sono sinceramente convinta che l’Ifom sia un centro di eccellenza internazionale, ben organizzato e con delle qualità rare che ci invidiano anche all’estero, come i servizi rivolti ai ricercatori. L’ambiente è stimolante e collaborativo, un ambiente gioioso oltre che professionale, che è di fondamentale importanza nella vita di tutti i giorni per un ricercatore.
Molti suoi colleghi scelgono di andare all’estero. La sua è una scelta controcorrente?
Anche io ho sempre coltivato il sogno americano, ero pronta con le valigie già ai tempi del dottorato…
Poi?
Poi mi sono imbattuta nell’Ifom e sono entrata  nel programma di dottorato della scuola europea di medicina molecolare.
Nel 2012, a 26 anni, la prima pubblicazione su Nature. Come è nata la sua passione per la scienza?
Sono sempre stata un’osservatrice attenta e curiosa. Sono cresciuta tra le vigne e ho giocato  poco con le bambole. Il mio vero  passatempo era la natura: quando ho ricevuto il mio primo microscopio-giocattolo lo utilizzavo per osservare foglie e formiche…
Incontri particolari lungo la sua strada?
L’amore per la biologia nasce sicuramente al liceo, in particolare grazie a mia cugina Fabrizia, all’epoca ricercatrice all’Irbm di Pomezia. Mi portò a visitare i laboratori e credo di aver riconosciuto subito in quel luogo un senso di appartenenza. Un altro incontro importante è stato con Rita Levi Montalcini. Avevo 22 anni e lei, girandosi, mi disse: «Ti auguro di avere una vita come la mia!».  
Quindi di vincere il Nobel?
È il sogno di qualsiasi ricercatore.
Crede sia possibile rimanendo nel nostro Paese?
Come la Montalcini, credo che sia importante fare un’esperienza di lavoro all’estero. E il 2018 sarà per me l’anno del sogno americano.
Cervello in fuga?
Assolutamente no. Non sarà una fuga senza ritorno, ma un’occasione di crescita professionale e umana.
Lei va in America e lascia un posto di lavoro in Italia?
In Italia, come anche negli Usa, non esiste la figura del ricercatore strutturato. Si lavora con contratti annuali. Dopo 8 anni, sono pronta a fare le valigie per un viaggio che senz’altro avrà un ritorno.
SERENA BOURNENS

19 Dicembre 2017
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