Scorie nucleari in Italia attesa infinita per il deposito
Roma – C’è un dossier che scotta nei cassetti del ministero dell’Ambiente. Da più di due anni. Ha un nome criptico che però interessa tutti noi: Cnapi. Sta per Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito unico di scorie nucleari.
Una struttura che a regime dovrà ospitare circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, il 60% derivanti dallo smantellamento delle centrali nucleari, il 40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. E non parliamo solo di eredità del passato. Questa seconda categoria genera continuamente rifiuti, e lo farà anche in futuro. Sono le tac, le risonanze magnetiche, ad esempio.
L’iter per costruire questo deposito è codificato e certo: dopo una serie di verifiche in base a ferrei criteri (lontananza dal mare, da impianti industriali, da zone sismiche, ad esempio) è stata silata una carta di aree in teoria idonee. In teoria: poi andrà ancora analizzata. Ebbene, questa carta è stata consegnata da Sogin (la società in house che sta gestendo lo smantellamento degli impianti e costruirà il deposito) al ministero. Poi, però, non se ne è più saputo nulla. Fino allo scorso autunno quando il Mise ha fatto sapere che verrà rilasciata verso settembre 2017. Circa 15mila metri cubi di questi rifiuti giacciono in depositi temporanei, precari e pericolosi.
Un anno fa il ministro Galletti ammise che è un tema scottante, da tenere fuori da campagne elettorali. «È un ritardo che non serve a nessuno – dice Alessandro Bratti, deputato Pd e presidente della Commissione ecomafie – Più si ritarda la messa in sicurezza più si continua a pagare sulla bolletta la dismissione dei rifiuti radioattivi».
STEFANIA DIVERTITO
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