Processo Mafia Capitale
11:37 pm, 8 Febbraio 17 calendario

Un tesoro cash in casa per paura delle banche

Di: Redazione Metronews
condividi

ROMA In casa sua quando venne arrestato il 2 dicembre 2014 i carabinieri trovarono 572mila euro in contanti, sistemati dentro alcune buste del comune di Roma. “Sono soldi di mio padre”. Ma ieri, Claudio Turella, funzionario capitolino in forza al servizio giardini, di fronte ai giudici della X sezione penale, ha provato a fornire una versione diversa. «Durante l’interrogatorio ero frastornato, il giudice era sempre al telefono e io non sapevo che a casa mia c’erano tutti questi soldi»,  si è giustificato Turella, che, poco prima aveva provato ad offrire una motivazione quasi filosofica: «Ho poca fiducia nelle banche. C’è chi gioca con i cavalli e chi con i soldi». Come lui, appunto, che per tutto il corso del suo esame, ha tentato di ricostruire la provenienza di quelle banconote, di cui 291 in tagli da 500 euro, che, sin dall’inizio dell’inchiesta Mafia Capitale, hanno “incuriosito” la procura. Come è possibile che un dipendente pubblico, che in banca ha già circa 390mila euro, riesca ad accumulare oltre mezzo milione di euro?
In tanti modi, secondo Turella, che dopo aver negato di aver preso mazzette da Salvatore Buzzi, ha fornito una rendicontazione, apparsa a molti surreale e poco credibile, in cui ha elencato una serie di attività, alcune delle quali illegali, grazie a cui sarebbe riuscito ad arricchirsi nel corso degli anni. Si va dall’affitto di alcuni appartamenti di proprietà, fino alle plusvalenza immobiliari in nero. «Vendi una casa, dichiari una parte nell’atto, il resto lo prendi in contanti». Ad ingrossare il tesoretto, oltre ad alcune eredità, sarebbe stato in parte anche lo stipendio del figlio, dipendente Ama, che invece di essere versato in banca, finiva dentro la cassaforte a muro nel locale taverna. Su domanda del legale di Libera Giulio Vasaturo, Turella ha spiegato che alcuni soldi, circa 100mila euro, li conservava dagli anni 80 ed era riusciti a cambiarli con l’ingresso dell’euro, grazie ad un ex consigliere di Ama. «Con il mio lavoro nel comune di Roma – ha aggiunto poi Turella – mi ero fatto un nome. Ero esperto di azalee, orchidee e rose. E venivo chiamato per dare pareri botanici ai privati. Gente della moda, politici. Prendevo i soldi in nero: ero un dipendente pubblico e non potevo dichiararli».
Prima di Turella, a parlare era stato l’ex presidente del X municipio Andrea Tassone, che, come tutti gli imputati del processo Mafia Capitale che hanno fino a qui testimoniato, ad eccezione di Odevaine, si è dichiarato innocente, anche se la sua ricostruzione sulla vicenda della pulizia degli arenili di Castel Porziano è più volte entrata in conflitto con quella fornita da Turella. «Ho fatto risparmiare 600mila euro e vengo definito un corrotto», ha più volte detto Tassone nel corso del suo intervento, in cui ha ammesso di aver chiesto a Buzzi l’assunzione di due persone. «Ma senza chiedere nulla in cambio», ha assicurato. «Quando Buzzi dice “se la mucca non mangia non può essere munta” significa che di me ha un’opinione negativa, mentre nel decimo dipartimento c’era un direttore che mostrava estrema compiacenza nei suoi confronti. Quando mi hanno arrestato tra me e mia moglie avevamo 130 euro in casa». Secondo l’accusa Tassone, «grazie alla mediazione di Paolo Solvi (suo collaboratore ndr) avrebbe ricevuto – si legge nell’ordinanza – indirettamente denaro dal gruppo di Buzzi in cambio dell’assegnazione di un appalto». Ma lui ha respinto al mittente anche questa accusa. “Non ho presentato io Solvi a Buzzi. Di quei soldi non so nulla. Non ho mai preso soldi”.
MARCO CARTA

8 Febbraio 2017
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo