MAFIA CAPITALE
11:29 pm, 21 Marzo 16 calendario

Mafia Capitale: parlano le vittime delle estorsioni

Di: Redazione Metronews
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ROMA «Se fai il mio nome ti taglio in due». Pedinamenti, intimidazioni e aggressioni sono state ieri al centro del processo Mafia Capitale, che ha visto la deposizione, nell’aula bunker di Rebibbia, di due degli imprenditori vittime di estorsione e tentata estorsione da parte del sodalizio criminale: Riccardo Manattini, che ha confermato ai giudici della X sezione penale tutte le aggressioni di cui si fa cenno negli atti giudiziari, e Luigi Seccaroni, che, al contrario, almeno inizialmente, ha affermato di non aver subito mai alcuna intimidazione da Massimo Carminati e Riccardo  Brugia, che hanno assistito all’udienza, in videoconferenza dalle carceri in cui sono detenuti, alzandosi più volte in piedi e mostrando per la prima volta segni di nervosismo di fronte alle parole pronunciate in aula.
«In quel periodo ero depresso e mi sentivo frastornato, non ricordo di aver subito minacce. Ho interpretato male. Carminati e Brugia li conosco da 16 anni, da quando avevo la concessionaria a Vigna Clara. Erano miei clienti, ma chi fosse veramente Carminati l’ho scoperto solo su internet», ha detto Seccaroni nel corso del suo intervento. Eppure, secondo la ricostruzione della procura, le cose non starebbero esattamente così. Seccaroni, titolare di un autosalone sulla via Cassia frequentato da Carminati e Riccardo Brugia, nel 2013 era entrato in contrasto con i due, che, ad ogni costo, volevano comprare un suo terreno per farne un benzinaio. Un lembo di terra sulla via Cassia che Seccaroni non poteva vendere, in quanto di proprietà del padre. La sua testimonianza, piena di “non ricordo” anche di fronte alle sue stesse parole pronunciate pochi minuti prima, è risultata difforme dalle intercettazioni agli atti e dalla sua deposizione davanti ai carabinieri del 27 gennaio 2015, in cui Seccaroni aveva parlato di pesanti minacce verso i suoi familiari e la sua attività, qualora non avesse venduto il terreno: «Ti mandiamo a fuoco tutto». E per questo il pm LucaTescaroli, a fine udienza, ha chiesto al tribunale che venga aperto un procedimento nei suoi confronti per falsa testimonianza.
Le minacce a Manattini
Seppur tra mille titubanze, invece, l’imprenditore Riccardo Manattini ha confermato lo stato di terrore e le aggressioni subite dopo essere entrato in collisione con il sodalizio di Mafia Capitale per un debito di 180 mila euro nei confronti di  Giovanni Lacopo, il padre di Roberto Lacopo, proprietario della pompa di benzina Eni di Corso Francia, il quale, per riscuotere il credito vantato dal padre, dall’aprile 2013, aveva messo Matteo Calvio, il “Bojo”, sulle tracce di Manattini. Manattini, detto il “nano”, sommerso dai creditori, non era in grado di restituire il denaro e per questo doveva temere per la sua incolumità. Il 29 maggio 2013, ad esempio, «dopo aver ricevuto una telefonata anonima in cui mi diedero un appuntamento per parlare di lavoro», Manattini venne accerchiato in via Cola di Rienzo da tre uomini, di cui uno alto un metro e 90. «Non ho fatto in tempo a chiedere chi fossero, che subito mi è arrivato un cazzotto. Sono caduto in terra e tutti insieme mi hanno preso a calci. Alcuni passanti hanno provato ad intervenire, venendo a loro volta minacciati: Sparite o picchiamo anche voi. Quando il giorno successivo segnalai la cosa a Lacopo lui mi rispose: quando uno picchia qualcuno è perché se vede che ha fatto quarcosa sennò uno no ‘o picchiano».
MARCO CARTA
 
 
Per via delle minacce di morte subite, Manattini era terrorizzato soprattutto dalla figura di Matteo Calvio, ma invece di denunciare, “conoscendo la loro caratura criminale temevo ritorsioni per la mia famiglia”, decise nell’estate del 2013 di chiedere protezione ad un esponente della malavita di Montespaccato, il “Curto”. Massimo Carminati venne a sapere che Manattini aveva fatto il suo nome al “Curto” e non la prese bene. “Un giorno l’ho incontrato alla pompa di benzina Eni di Corso Francia, si è avvicinato a me e con il suo dito ha pigiato il mio naso, dicendomi: Non ti permettere più di fare il mio nome o ti taglio in due”.
 
Le pressioni prima del processo
 
Le pressioni su Manattini, che alla fine pagò chiedendo un prestito alla moglie e ad alcuni amici, non finirono nemmeno dopo la prima ondata di arresti, quella del 2 dicembre 2014. “Pochi mesi dopo, intorno al  20 febbraio 2015, mentre ero all’inaugurazione di un bar, venni avvisato dal proprietario che due uomini vicini a Carminati, Brugia e Lacopo stavano cercando tutti quei soggetti che avevano avuto scambi di natura economica con gli stessi. Mi disse: fai attenzione perchè questi vengono pure a casa tua”. Quelle che sembravano solo voci, si fecero concrete pochi mesi dopo, il 24 settembre 2015, a poche settimane dall’inizio del processo Mafia Capitale. “Stavo accompagnando mia figlia a scuola di musica, quando si sono avvicinate due persone sui 40 anni. Una aveva un forte accento romano: ‘Manattini come andiamo? Tu sei andato a parlare con la polizia, vivi la tua vita serena e non costituirti parte civile”.

21 Marzo 2016
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