INTERVISTA
4:14 pm, 21 Maggio 24 calendario

Alopecia areata, Rossi: “Aberrante non sia riconosciuta malattia”

Di: Redazione Metronews
Alopecia
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L’alopecia areata è una malattia subdola perché colpisce duro lì dove fa più male: nell’identità. Una malattia rara dal terribile impatto sulla qualità della vita dei pazienti. Qualche numero: ne soffre circa lo 0,2% della popolazione generale. Si stima che in prevalenza colpisca  tra i 10 e i 25 anni (60% dei casi) e che si verifichi più raramente negli adulti con più di 60 anni. 
A che punto sono le cure? Ne parliamo con il professor Alfredo Rossi, Responsabile Annessi Cutanei Policlinico Umberto I  di Roma.

 

Alopecia areata: quali sono le nuove opzioni terapeutiche? Penso, per esempio, ai jak inibitori. A che punto siamo?
I jak inibitori erano già presenti per il trattamento di altre malattie: penso per esempio all’artrite reumatoide. Per l’alopecia areata sono entrati in gioco prima con l’uso compassionevole da maggio 2023, cioè dopo che l’Ema (l’Agenzia Europea per i farmaci, ndr) si è pronunciata favorevolmente. E poi invece regolarmente da agosto 2023. Si tratta di un particolare tipo di jak inibitore, nel senso che è molto specifico.

In che senso?
Le spiego. I jak in realtà sono cinque ed ognuno ha un effetto: se li blocchiamo tutti non fermiamo solo gli effetti sulle malattie autoimmuni, ma anche gli altri effetti, legati alla coagulazione e ad altri aspetti. Con il risultato di avere effetti collaterali anche importanti. Con il progredire degli studi, tuttavia, si è selezionato sempre di più il tipo di jak da colpire: quindi siamo riusciti a colpire un meccanismo, al massimo due, in modo da non avere tanti effetti collaterali. Ecco perché dico che il farmaco è molto selettivo, efficace e con pochi effetti collaterali. Anche se un pò lento.

Quanto lento?
Ci vogliono dai tre ai sei mesi per vedere i risultati, per cui molti pazienti in realtà rispondono dopo un anno di terapia. Ma questi tempi, nell’alopecia aerata, erano un pò la consuetudine. Quindi eravamo già preparati.

Il professor Alfredo Rossi./METRO


Rispetto al cortisone che tipo di percorso terapeutico è?
Il cortisone – con tutti i suoi effetti collaterali – blocca l’attività dei linfociti mentre i jak inibitori bloccano la produzione dei linfociti che poi vanno ad aggredire il follicolo pilifero. Quindi siamo un pò più a monte rispetto a quello che succedeva prima con il cortisone.
Oggi sono in fase di approvazione tanti altri jak inibitori per l’alopecia areata. In particolare sono in fase di sperimentazione jak inibitori destinati anche ad un uso pediatrico. Quindi potranno beneficiare di questa terapia non solo gli adulti ma anche i bambini da due anni in su. È una malattia infatti frequente nella fascia d’età che va dai 6 ai 10 anni, un periodo critico in cui i bambini cominciano ad avere delle relazioni, perché vanno a scuola.

Ti guardi allo specchio e non ti riconosci: è il grande dramma di questa malattia. Non oso pensare al peso psicologico.
Ed è ciò che accade a tutti i pazienti quando perdono gran parte dei capelli – o tutti – oltre a ciglia e sopracciglia. Per cui diventa una malattia pesante con cui convivere, nonostante la possibilità di utilizzare parrucche, che però molti di loro non accettano. Diventa così una malattia che cambia veramente la vita dei soggetti che ne sono affetti. Lei immagini che molti di loro non vanno nemmeno più a lavorare.

Ci sono i farmaci: ma l’alopecia però non è ancora riconosciuta dai LEA, anche se con tutta evidenza si tratta di una malattia rara e recidivante.
Ad aggravare la situazione infatti, c’è che la malattia non è riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale, quindi queste persone non sono nemmeno messe in condizione di avere una esenzione. Il farmaco è passato dal Sistema Sanitario Nazionale, che però non riconosce la malattia. Aberrante.

Il professor Rossi con alcuni giovani collaboratori./METRO

In quale percentuale questa terapia consegue risultati rispetto ai criteri tradizionali?
Gli studi per l’autorizzazione del farmaco dicono che nel giro di 36 settimane si ha la possibilità della ricrescita dell’80% dei capelli nel 40% dei pazienti. Ma, considerando i dati a lungo termine dei pazienti che proseguono nella terapia, il 40% arriva anche al 60%. Oltretutto il restante 40% non è che resti senza capelli: non riesce ad arrivare all’80% di copertura. Possiamo dire che questo farmaco migliora la copertura e soprattutto migliora la presenza di ciglia e sopracciglia, che – mi creda- è un risultato importante.

Non sarebbe tuttavia più efficace un iter diagnostico completo, che vada oltre il dermatologo? Penso per esempio allo psicologo -visto l’impatto psicologico e relazionale dell’alopecia areata- o all’endocrinologo.
Certo. Anzi le dirò di più. Il dermatologo potrebbe essere uno dei primi specialisti che vede un paziente che ha altre comorbidità. Ad esempio io vedo una persona con alopecia areata, ma devo considerare che questo paziente può avere un’altra malattia autoimmune che non è ancora venuta alla luce o che invece è silente. Ad esempio una tiroidite autoimmune, una celiachia, una psoriasi, la vitiligine, un lupus, un diabete. Tutte queste condizioni autoimmunitarie possono essere svelate dalla presenza dell’alopecia areata. Come? Se io ho la tiroidite, la celiachia e via dicendo, devo aspettarmi di poter essere colpito dall’alopecia areata perché rientra in un panel di malattie autoimmuni che sono geneticamente vicine: per cui se c’è un’alterazione di quei di quei geni c’è la possibilità di avere più malattie autoimmuni contemporaneamente.

La ricerca, come abbiamo visto, ha fatto passi da gigante. Ci sono speranze anche sul fronte delle terapie biologiche?
Se avessimo la possibilità di utilizzare dei biologici che agiscono su alcune specifiche citochine potremmo avere un’azione prima della formazione dei linfociti contro il follicolo pilifero. Quindi avremmo la possibilità di agire più a monte, con ancora meno effetti collaterali rispetto a quelli che osserviamo oggi con i jak inibitori. Ricordiamo però che noi i pazienti li selezioniamo: quelli che hanno uno screening di tipo ematologico che non va bene non li mettiamo certo sotto terapia con jak. E questo è un grosso vantaggio, perché abbiamo contezza dei pazienti che avranno pochi effetti collaterali e la risposta massima alla terapia. Che quindi possiamo anche prolungare nel tempo. Viceversa, se partissimo con pazienti che hanno già delle problematiche e questi farmaci, il rischio di dover sospendere la cura sarebbe alto.

C’è un sentire comune che vuole lo stress essere l’innesco di questa malattia. Vogliamo sfatare questo mito?
Lo stress non è e non può essere la causa, altrimenti saremmo tutti senza capelli o tutti avremmo la tiroidite o altre malattie. Ovviamente, se c’è qualcosa che sbilancia il sistema immunitario – e lo stress lo può fare, questo lo sappiamo – peggiora tutto: la psoriasi, le malattie infiammatorie, banalmente anche la dermatite seborroica. Ma la causa di questa malattia è la predisposizione, il trigger che può essere innescante può essere un virus o un batterio. Ad esempio il Covid ha innescato tantissime malattie autoimmuni tra cui l’alopecia aerata che infatti, in quel periodo, ha conosciuto un picco.

A.B.

 

21 Maggio 2024
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