Ambiente
9:21 pm, 16 Ottobre 24 calendario
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Quando la natura si ribella e i migranti climatici siamo noi

Di: Valeria Bobbi
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La Banca Mondiale ha previsto che fino a 216 milioni di persone potrebbero diventare migranti climatici interni entro il 2050 se non verranno adottate misure efficaci. «Il nesso tra cambiamenti climatici e migrazioni forzate è sempre più preoccupante. Non si può più far finta di credere che la questione riguardi paesi lontani da noi»: secondo Virginia della Sala, giornalista e autrice del libro “Migrare in casa” (Edizioni Ambiente) non è più il tempo di pensare. «Bisogna agire. Subito».

Nel suo libro lei sostiene che il fenomeno delle migrazioni per cause climatiche ormai riguardi sempre di più anche l’Italia. I dati ufficiali cosa dicono?
Stiamo assistendo a un numero di disastri su larga scala senza precedenti: basti pensare a quello che è avvenuto in Emilia Romagna nelle ultime settimane. Eventi improvvisi che possono causare una significativa perdita di vite umane, distruzione di case, di mezzi di sussistenza e un inevitabile aumento di movimenti migratori forzati. Nel 2023 in Italia ci sono stati quasi 50 mila evacuati. Rafforzare i nostri sforzi comuni per l’azione climatica e investire in canali di migrazione sicuri, regolari e ordinati è più importante che mai.

Le migrazioni, anche per cause climatiche, ci sono sempre state: perché quelle di oggi destano più allarme?
In realtà sì, ci sono sempre state, ma quello che emerge, anche dagli studi più recenti e da un confronto con gli esperti e gli imprenditori dei vari territori colpiti da alluvioni, ad esempio, è la frequenza. Prima i disastri climatici avvenivano ogni 10, vent’anni. Oggi invece, come dimostra quanto accaduto in Emilia Romagna, non si tratta più di fenomeni occasionali, ai quali si può porre rimedio. Diventa un’emergenza continua a cui le popolazioni non riescono più a far fronte da sole. Non è più rinviabile una seria presa di coscienza del problema e una lungimirante gestione e messa in sicurezza del territorio.

Di fonte a questa emergenza continua, come spiega il fatto che chi governa non sembra rendersi conto della complessità della questione e del bisogno di mettere in campo tutte le strategie più avanzate per evitare il ripetersi di tragedie e distruzioni?
Da un lato c’è stata un’accelerazione dei cambiamenti climatici del tutto inaspettata: i quadri normativi si basano su quelle che sono le statistiche del passato. Poi accade che da un anno all’altro, o nel giro di pochi anni, quei piani non siano più adeguati. Faccio un esempio urbanistico: oggi sempre di più si allagano le metropolitane e saltano i tombini. Ma le città sono state pensate in un momento storico in cui si voleva favorire lo sviluppo dei servizi. E sono state costruite sulla base di fenomeni climatici che c’erano a quel tempo. Le metropolitane sono fatte come se fossero un imbuto. Se oggi si dovessero costruire sulla base dei fenomeni atmosfe attuali, richiederebbero un ripensamento strutturale profondo e complesso. Soluzioni che non comportano un ritorno economico immediato e che quindi richiedono scelte politiche radicali e coraggiose, e naturalmente anche onerose.

Cosa sarebbe necessario fare subito?
Le cosiddette soluzioni strutturali richiederebbero ad esempio di escludere le zone più a rischio dai piani regolatori, prevedere una costante manutenzione degli argini, un controllo continuo dei punti critici. Gli argini dei fiumi non possono più essere trascurati, La natura va governata.

Ma è davvero possibile riuscire a governare la natura, una volta che il cambiamento climatico è irreversibile?
Nel caso dell’Emilia Romagna il lavoro che andava fatto in emergenza negli ultimi sedici mesi è stato fatto. Il problema è che non basta più: quello che serve è il piano strutturale di cui parlavamo. E sempre parlando dell’Emilia questo piano esiste, è stato consegnato al governo ad agosto. Ma non è stato ancora approvato, perché mancano i pareri dei ministeri ed è un piano da 4 miliardi di euro. Ne sono stati stanziati solo due. Questo piano prevede le zone di esondazione controllata. Il fiume esonderà comunque, ma i danni si ridurranno del 70%. Vanno quindi identificate le zone giuste, ma questo vuol dire andare a trattare con gli agricoltori, espropriare delle terre e prevedere delle compensazioni economiche. C’è tutta una politica che si deve mettere in moto. Mentre nei fatti questo piano ancora manca e siamo alla seconda alluvione.

16 Ottobre 2024
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