Milano
5:00 am, 11 Ottobre 24 calendario

Paolo Kessisoglu: «Contro il disagio degli adolescenti “C’è da fare” molto»

Di: Patrizia Pertuso
condividi

Con Silvia Rocchi, Paolo Kessisoglu ha fondato l’associazione “C’è da fare” per contrastare le diverse forme di ritiro sociale e disagio psicologico e neuropsichiatrico negli adolescenti, promuovendo e finanziando progetti a loro supporto.

Prima di tutto cos’è “C’è da fare”?

«È un’associazione ETS, come si chiamano ora tutte le associazioni del Terzo Settore che hanno sostituito le onlus, nata nell’aprile del 2023 che raccoglie fondi per progetti concreti avendo come ambito principale l’adolescenza e il disagio giovanile. Collaboriamo con i centri dei nuclei operativi di neuropsichiatria infanzia e adolescenza di tutti gli ospedali che hanno questi reparti e lavoriamo, quindi, per fornire supporto agli adolescenti e alle famiglie in grave stato di disagio mentale declinato in varie forme: dall’autolesionismo alla depressione passando per i disturbi del comportamento e via dicendo».

In questo momento sembra esserci un exploit di disagio adolescenziale: mi riferisco ai tanti fatti di cronaca che vedono coinvolti minorenni. Si tratta di un fenomeno che c’è sempre stato, ma solo ora viene sottolineato o c’è stato un momento particolare che ha innescato questo disagio?

«La nostra epoca sta affrontando un’emergenza totalmente nuova. Se è vero che certi problemi che abbiamo adesso potevano esserci anche prima – dei disturbi di comportamento ne sentiamo parlare da anni, per esempio – è altrettanto vero che la pandemia può aver fatto da detonatore. Sicuramente oggi la relazione tra il mondo adulto dei genitori e quello dei figli della nostra generazione è arrivato a un punto di esplosione di questi disagi. Ci si metta anche la tecnologia elettronica che ha portato a una non presenza nelle relazioni. Oggi le problematiche del disagio che si declinano in tanti espressioni, tra cui agenti suicidari o lesionistici, prendendole tutte come un grande malloppo senza distinzioni sono cresciute di oltre il 145% rispetto a pochi anni fa».

Addirittura?

«Questi numeri ci arrivano dagli accessi negli ambulatori, quindi fanno riferimento a un conteggio reale».

Gli adolescenti stanno diventando tutti Hikikomori?

«La maggior parte delle persone che si isolano socialmente, non mangiano e vivono nella tecnologia sono maschietti, non so perché. Forse perché sono più pigri? Ci stiamo lavorando».

Che cosa c’è da fare?

«Volendo sintetizzare bisogna capire il problema e per capirlo bisogna parlarne, abbattere lo stigma delle malattie mentali, fare informazione in modo corretto con le persone giuste, con neuropsichiatri e psicoterapeuti, aiutare chi ne soffre con progetti realizzati con gli ospedali perché, da sola, la sanità pubblica non c’è la può fare. Uno dei progetti che abbiamo con l’ospedale Niguarda di Milano, il Safe Teen ad alta intensità, Giovani in Sicurezza, ha aumentato l’aiuto e l’apporto che avrebbe un giovane preso in carica nell’ambulatorio neuropsichiatrico e sostenuto dalla Asl. Loro hanno un incontro a settimana che magari poi non si ripete. Noi ne abbiamo tre o quattro e abbiamo educatori e psicoterapeuti che prendono in carica la famiglia. Si chiama Safe Teen ad alta intensità perché in questo modo si vedono i risultati grazie a un lavoro che ha un approccio olistico».

In questo momento si parla molto di carceri. A Milano, il Beccaria dove sono reclusi i minori sta vivendo una situazione che non è delle migliori. La vostra associazione si occupa anche di minori che soffrono delle patologie di cui parlava prima e che hanno a che fare o che hanno avuto a che fare con il sistema carcerario?

«Certo, non abbiamo preclusioni, può capitare. Sulla presa in carico dei ragazzi minorenni abbiamo soltanto dati parziali: sappiamo della famiglia e basta. Mi fa piacere questa domanda perché la nostra associazione è nata grazie anche all’apporto di 18 associati tra cui Gherardo Colombo, una persona molto attiva che, al di là del suo passato in magistratura, si è concentrato molto sui giovani e anche sul tema delle carceri. Gli agiti autolesionistici contro se stessi o quelli colpiti dalla depressione e dalle patologie che derivano dal rapporto con gli adulti e dalla società a volte sfociano anche in atteggiamenti di violenza. Quindi questi aspetti sono concatenati tra loro. Per approfondire questo tema, nei mini eventi che faremo all’Aedicola Lambrate ci sarà un talk con Gherardo Colombo e Michele Canova, uno dei maggiori produttori discografici del momento, che parleranno di “Musica e legalità”».

A proposito degli incontri all’Aedicola Lambrate dove avete organizzato un programma con dibattiti, approfondimenti e intrattenimento con grandi nomi,  da Katia Follesa a Mario Calabresi fino a Matteo Bussola, oltre a Colombo, Canova e molti altri. L’Aedicola rappresenta un luogo simbolo, un’edicola ”alternativa” in un quartiere periferico. Avete scelto questo luogo “ai margini” per trattare argomenti che, purtroppo, restano “ai margini” del quotidiano?

«Mi piace molto il progetto dell’Aedicola perché le viene attribuito un compito che si era un po’ perso, un centro che fa comunità e fa cultura, un hub sociale, insomma. Uno degli imprenditori che ha salvato questo luogo dalla chiusura, Michele Lupi, è un nostro associato oltre ad essere anche un mio caro amico. Sapevo del suo progetto e quando dovevamo scegliere il luogo dove organizzare questi eventi a tutti è venuta in mente subito l’Aedicola. Il fatto che sia a Lambrate, non in centro, per me è un valore aggiunto, come diceva lei. La gente ci chiama da settimane e chiede se potranno venire: devono venire. Accanto a momenti più light con Katia, Angelo (Pisani, ndr) e la loro figlia, ci saranno anche delle chiacchierate più specifiche come quelle di cui le parlavo prima».

Dalla periferia al centro: sabato La Grande Pagina Bianca che ha attraversato il mondo dal 2009 con 49 edizioni italiane e 10 internazionali sarà in piazza Duomo.

«La Grande Pagina Bianca è stata creata da Ivan Tresoldi. È una performance collettiva a cui tutti coloro che verranno in Duomo potranno partecipare. Ci sarà un telo da 3 mila metri sdraiato in terra, dalla fine del sagrato fino al monumento. Chiunque voglia esprimersi scrivendo una poesia o facendo un disegno lo può fare. Diventerà un’opera contemporanea collettiva, ma sarà anche un’occasione per stare insieme e dare libertà di espressione a chi vorrà partecipare. Trovo meraviglioso il fatto che Ivan abbia accettato di portare La Pagina in Duomo con noi. Facendo gli scongiuri, toccando ferro e continuando a fare la danza antipioggia, pare che anche la situazione meteorologica si sia allineata. Ci sarà anche un palco sul quale saliranno band dei licei delle scuole superiori e Manuel Agnelli oltre a momenti meno musicali e più verbali come, per esempio, quello con Michele Serra».

Cosa scriverà Paolo Kessisoglu sulla Grande Pagina Bianca? La prego non mi risponda: “La pace nel mondo”…

«No, “la pace nel mondo” la lasciamo come risposta alle Miss Italia, non posso rubargliela. Forse scriverei qualcosa tratto dalla performance di recitazione e pittura che ho fatto ieri in conferenza stampa con Ivan nella quale ho raccontato due ragazze che però forse in realtà sono una sola. Se dovessi essere particolarmente sintetico scriverei: ascoltiamoci, ascoltiamo, però poi viviamo, viviamoci, non stiamo troppo a pensare. C’è da fare».

Domanda provocatoria. Sicuramente c’è da fare. Ma secondo lei è giusto che queste cose le facciano le associazioni e non lo Stato?

«Non voglio per forza dare la risposta buona perché non sono un mollaccione. Muovere lo Stato è complicato. Ci sono sicuramente tante cose che non funzionano però credo sia anche giusto che tante cose vengano da una responsabilità civile. Devo dire che anche quando parlo con le istituzioni pubbliche, per esempio negli ospedali, trovo una grande accoglienza. Certo, è vero che gli do i soldi però trovo una macchina che si mette in moto, che capisce cosa manca e cosa c’è da fare».

Da parte dello Stato le associazioni come la vostra hanno avuto o hanno qualche riscontro rispetto ai progetti che hanno portato avanti?

«A me dà molto fastidio sapere che le associazioni si muovono grazie alle responsabilità e le autonomie dei singoli mentre lo Stato non se ne accorge. Mi piacerebbe fosse pronto a vedere il lavoro che svolgono. Il passo seguente dovrebbe essere quello di capire che, dove agisce un’associazione, c’è una cosa che non funziona. Poi si dovrebbe dare una mano all’associazione pensando come intessere relazioni con loro. Oggi ci si muove, ma quando lo si fa sembra di dar fastidio. Bisogna fare le capriole per trovare un sostegno, un ascolto. È questa la cosa che non funziona. Capisco che lo Stato non può far tutto però dovrebbe avere le orecchie dritte e invece, purtroppo, lo Stato, che poi è rappresentato dai politici che noi abbiamo votato, passa il tempo sul telefonino o a sparare cazzate su Twitter: questo è il vero problema».

PATRIZIA PERTUSO

11 Ottobre 2024 ( modificato il 10 Ottobre 2024 | 17:33 )
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo