henry kissinger
12:06 am, 1 Dicembre 23 calendario

Quando Kissinger trasformò la partita a scacchi in Guerra Fredda con Mosca (e Fischer vinse contro Spassky…)

Di: Redazione Metronews
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La Guerra Fredda aveva un protagonista sotterraneo,  Henry Kissinger, morto oggi a 100 anni nella sua casa in Connecticut.  Kissinger, membro del Partito Repubblicano, fu Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Usa durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford tra il 1969 e il 1977. Nel 1973 fu insignito del premio Nobel per la pace.

Kissinger con Nixon

La carriera di Kissinger

All’inizio degli anni settanta Kissinger si rese protagonista di una innovativa politica estera, raggiungendo alcuni importanti successi per gli Stati Uniti, che gli valsero un grande prestigio internazionale e una crescente influenza all’interno dell’amministrazione Nixon. Peraltro, i suoi metodi politici spregiudicati, che non escludevano pesanti interferenze, anche militari, su governi e politici stranieri, per salvaguardare a tutti i costi il potere statunitense e impedire la sopravvivenza di realtà politiche ritenute ostili, come nel caso del Cile e dell’Argentina, sono stati aspramente criticati.

Kissinger in una immagine recente

La Guerra fredda degli scacchi

Nell’estate del 1972, tanto per citare un episodio che influì sulla Guerra Fredda, Kissinger  fece una telefonata che cambiò per sempre la storia degli scacchi. Il Segretario di Stato sotto le presidenze Nixon e Ford sollevò la cornetta e disse poche parole: «Questo è il peggior giocatore di scacchi del mondo, che parla con il più grande giocatore di scacchi del mondo». Dall’altra parte, con la cornetta in mano, non c’era un leader politico, un presidente o un re, ma semplicemente Bobby Fischer, il più forte scacchista americano del tempo.

Fischer aveva appena minacciato di ritirarsi dal match mondiale contro il campione sovietico, Boris Spassky, lasciando così ai russi il predominio incontrastato del gioco. Kissinger, però, scacchista provetto, aveva capito che in palio non c’era solo una partita, un titolo sportivo: in piena Guerra Fredda gli Usa  non potevano abbandonare il campo di battaglia, nemmeno se costituito da 64 semplici caselle, se dall’altra parte l’avversario era sostenuto dal Cremlino. Kissinger dimostrò, una volta di più, la sua arte retorica, la sua capacità di risvegliare orgoglio e appartenenza, la sua forza diplomatica.

La telefonata che cambiò tutto

Fischer si convinse e parti per Reykjavìk, in Islanda, dove avrebbe sconfitto Spassky in quella che ancora oggi è ritenuta la partita del secolo e regalando a Washington una vittoria che venne acclamata in tutto il Paese. Un successo che pose fine ad almeno 24 anni di ininterrotto dominio scacchistico sovietico, un record che Mosca custodiva gelosamente perchè riteneva dimostrasse la sua potenza intellettuale sulle altre nazioni.

Quella di Kissinger, però, fu una telefonata che permise agli scacchi di raggiungere una notorietà mai avuta prima e di diventare uno dei giochi più diffusi. Prima della partita tra Fischer e Spassky, il governo americano era relativamente interessato agli scacchi. Al contrario, milioni di cittadini sovietici giocavano fin dalla più tenera età, e poi a scuola e nei circoli ricreativi. Alla fine degli anni ’50 la Federazione scacchistica statunitense contava circa 2.000 giocatori attivi ma dopo la conquista del titolo da parte di Fischer quel numero raddoppiò. I giornali e le televisioni celebrarono il match con grandi titoli e Kissinger, che aveva capito come il giocatore newyorchese potesse diventare un eroe, ottenne un altro enorme successo come diplomatico e Consigliere alla sicurezza.

Ci sono tante leggende attorno alla telefonata. Il New York Times interrogò Fred Cramer, all’epoca uno dei pochi a cui Fischer si rivolgeva, una specie di portavoce, e vice-presidente della Federazione a stelle e strisce. Cramer confermò che Kissinger telefonò «alla stella americana degli scacchi» ma non raccontò altri particolari. Non disse quando e cosa si dissero. Lasciò intendere che l’esortazione andò a buon fine e che, probabilmente, furono trasmesse a Fischer anche le parole di Nixon. Alcune versioni sostengono che la chiamata avesse avuto toni più severi ma i più convergono che il messaggio risuonasse più o meno in questo modo: «L’America vuole che tu vada laggiù e sconfigga i russi». Non era più una questione di pezzi Bianchi o Neri. E Fischer, che in futuro si sarebbe scontrato più volte con Washington, fino a diventare un reietto, un nemico (tanto da morire in Islanda), sentì il richiamo del suo Paese attraverso le parole di Kissinger.

1 Dicembre 2023
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