Squid Game, il fenomeno
Se non hai visto “Squid Game” non sei nessuno, a quanto pare. Tutti ne parlano, tutti hanno rispolverato “uno, due, tre stella”, quel gioco che si faceva da bambini e che una serie sudcoreana ha riportato prepotentemente nelle case di tutti. Dopo il premio Oscar a Parasite di Bong Joon-ho la Corea del Sud stupisce ancora il mondo con un altro prodotto che parla di diseguaglianze. E fa centro. Si tratta di “Squid Game“, ad oggi il contenuto in streaming più visto e discusso al mondo. Disponibile dal 17 settembre, la serie è -tra quelle della galassia Netflix– la più vista in circa 90 Paesi.
Il fenomeno Squid Game: la trama (spoiler)
La storia mostra uno spaccato della Corea del Sud. Uno sguardo critico al mondo odierno di questo Paese, dove l’indebitamento è un problema crescente. Il protagonista è Seong Gi-hun (l’attore Lee Jung-jae). Un uomo disperato, messo all’angolo dalla vita, ridotto a scommettere sui cavalli per darsi una prospettiva. In questo quadro, aggravato da ludopatia e miserie d’ogni sorta, Seong perde ben presto anche la custodia della figlia. Per questo motivo decide di accettare la proposta di uno sconosciuto. Quale?
La “proposta”
La proposta è quella di partecipare ad un folle gioco insieme ad altri 454 disperati. Folle, ma ricco. Che fa intravedere l’orizzonte di un riscatto, cioè vincere il montepremi finale di 45,6 miliardi di won sudcoreani (pari a circa 30 milioni di euro). Seong Gi-hun accetta. Trasferito su un’isola sconosciuta (che i fan hanno scoperto essere l’isola di Seungbong-ri ) Seong Gi-hun ed il gruppo di disperati iniziano a giocare. Vengono proposti loro giochi da bambini come la campana, un due tre stella. Tutto molto simpatico, per carità: se non fosse che chi perde non torna a casa dalla mamma ma si prende un colpo di pistola in testa. E il gioco continua con gli altri, in un clima comprensibilmente sempre più teso. A organizzare il tutto è un misterioso personaggio, noto come Frontman.
L’idea di fondo è che la società sudcoreana sia profondamente ingiusta e classista. Dappertutto affiorano le venature tipiche di un capitalismo malato, capace di dividere e modellare a sua immagine una società insensibile e disumana. Tanto che, per qualcuno, stare dentro “il gioco” è quasi meglio che tornare a casa. Squid Game (che poi è la versione coreana di un gioco di strada o da cortile che i bambini in tutto il mondo praticano: la campana) ci racconta un mondo che conosciamo bene. C’è da dire però che, per quanto critico verso il capitalismo, Squid Game ne è un prodotto modello, visto che finora avrebbe guadagnato circa un miliardo di dollari.
L’idea
Il creatore della serie è Hwang Dong-hyuk, che ha avuto l’idea della serie più di 10 anni fa. «Nel 2008 avevo da poco fatto il mio esordio – ha detto – e a quel tempo frequentavo molto i negozi di fumetti. Pensavo di scrivere una storia simile a quella dei comic in Corea e così nel 2009 ho completato questa sceneggiatura». L’idea di base era adattare il tutto in un film, ma trovare un finanziatore non era cosa facile. E infatti in molti si sono tirati indietro.
Salvo, oggi, mangiarsi il cappello.
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