«Non ritraggo solo Sofia ma tutto il Marocco»
ROMA Scontro tra i sessi, scontro tra classi sociali, scontro di affettività, scontro di interessi. Nella storia di Sofia (“Sofia” da giovedì in sala dopo esser stato premiato a Cannes) che comincia come un thriller con una donna alla ricerca del padre di suo figlio, e finisce come un dramma sociale in cui tutto è lecito pur di fare la mossa giusta, tutto questo si concentra perché, come spiega la giovane regista marocchina Meryem Benm’Barek, «il punto era ritrarre un intero paese e non solo fare un ritratto di donna».
Da che punti di riferimento è partita?
«Amo i Dardenne e volevo costruire il film con semplicità e pudore, in modo da farmi capire dal pubblico e mostrare una società patriarcale ma in un modo più sottile di come viene fatto di solito. Infatti, alla fine, la vera vittima è l’uomo perché di una condizione sociale inferiore. Per me era importante mostrare come una società patriarcale non è buona per nessuno e non sono solo le donne a rimetterci».
Nessuna luce in tutto questo?
«L’idea è quella di una società come un rullo compressore e infatti il film si chiude senza soluzione».
Qual è oggi la situazione in Marocco?
«Da tempo molte associazioni si battono contro la legge che punisce i rapporti extraconiugali ma il problema non è di ordine sessuale, perché i marocchini continueranno a fare sesso anche fuori dal matrimonio, ma di ordine sociale e sanitario: riguarda l’aborto, i bambini abbandonati o senza padre, le donne che sono sole e non c’è la fanno».
SILVIA DI PAOLA
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