Giammarco: «Il jazz sveglia la musica»
ROMA «“Jazz” oggi è una parola un po’ logora che identifica un mare di musica molto diversa e in continuo cambiamento. Molta di questa è bellissima, ma non lo sa nessuno. Stiamo entrando in una nuova era, o per lo meno dovremmo entrarci, se solo si riuscisse a rianimare la gente da questo stato di overdose catatonico in cui è precipitata per un’ iniezione letale di pseudo cultura mediatica e ipnosi da smartphone». Parola di Maurizio Giammarco, leader dei Lingomania. La band è tornata a incidere un disco di inediti dopo 30 anni, “Lingosphere”, e lo presenterà sabato e domenica al Big Mama (ingresso libero).
Come è nato il progetto “Lingosphere”?
La band si è riunita nel 2016 per celebrare i trent’anni del nostro primo disco Riverberi e risuonare nel locale che fu per noi di riferimento, il Big Mama. Ma già dalla nostra prima uscita c’era del materiale nuovo che poi è confluito nel nostro nuovo lavoro.
Cosa ha rappresentato la nascita dei Lingomania nel suo percorso artistico?
È stata una tappa fondamentale. A parere unanime della critica, Lingomania, nell’ambito del jazz, è stato il gruppo più rappresentativo degli anni ’80. Ci furono d’aiuto alcuni passaggi televisivi importanti. Piccole virtuosità di una tv che purtroppo non c’è più.
Può descrivere l’atmosfera artistica degli anni in cui è nata la band?
Erano gli anni di una nuova generazione appassionata che, caparbiamente, ha creduto nell’ipotesi di poter campare suonando la musica che amava, in sintonia con certi stimoli dell’epoca, non solo musicali ma anche sociali.
E oggi?
L’Italia è piena di giovani talenti con un potenziale enorme, ma sono privi di infrastrutture adeguate e di un pubblico almeno incuriosito. La buona musica è stata gradualmente annientata dall’avvento delle radio private, dai ritmi martellanti dei DJ. L’avvento dell’era digitale ha poi dato il colpo di grazia al mercato discografico.
STEFANO MILIONI
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