ebola
8:05 pm, 6 Gennaio 15 calendario

Nell’inferno di Freetown dove Ebola ha vita facile

Di: Redazione Metronews
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SIERRA LEONE A Freetown i contagiati si contano ogni giorno a decine, 70, 80, 100. Nessuno fa previsioni. Nessuno rischia la carriera lanciando stime plausibili, modelli matematici sulla diffusione. Cittadini in fuga dalla capitale, perché qui si registrano continue impennate, focolai improvvisi ardenti nei quartieri, quasi due milioni di abitanti ammassati uno di seguito all’altro in quartieri senza fogne e senza acqua e senza elettricità, a meno di non riuscire a dotarsi di un piccolo generatore elettrico, magari della batteria strappata al camion. Ebola trova vita facile. Non ha che da infettarne uno qualsiasi e in un istante parte il contagio, trasmesso con il sudore e con i rapporti sessuali praticati nella medesima lurida stanza in cui si mangia, sdraiati su stuoie buttate sul pavimento, l’intera famiglia accoccolata l’uno contro la schiena dell’altro, tra sciami di zanzare e avvolti in un caldo febbricitante da buttarsi via. 
Ebola la fa da padrone in questi giorni africani. Avanza a ondate, come l’oceano dispiegato contro le coste. Cavalloni irruenti e poi la risacca stagnante che illude pause da questa guerra perduta in partenza. Fa il comodo suo e nessuno sembra capirci qualcosa. Si fanno illazioni, seguono supposizioni, si praticano vaccini sperimentali. La Sierra Leone, come la Guinea e la Liberia, per il mondo scientifico, per i soloni accademici, è arrivata a fagiolo. Un gigantesco laboratorio a cielo aperto. In cui poter testare e inoculare e stare poi a vedere l’effetto che fa.
Fino a oggi, Ebola virus si era manifestato per movimenti sporadici. Colpendo villaggi sperduti nelle boscaglie pluviali del Congo e dell’Uganda, comunità ristrette di sparute centinaia di abitanti. Falciate via come ciuffi d’erba, stracciate dalla terra con stolida noncuranza. Problemi locali. Eccidi silenziosi troppo distanti dalle grandi città, dagli aeroporti internazionali, dai moli dove attraccano le navi da crociera e i bastimenti commerciali. In queste dannate lande, per fortuna della scienza, Ebola ha deciso di mettere radici, permettendo ai biologi, ai virologi, agli epidemiologi di mettersi seduti a studiare, a far di conto, a toccare con mano il flagello. Li vedi andarsene a giro contenti di poter guardare direttamente nella pupilla del mostro. Ammettendo a fine giornata davanti a una birra, che nulla hanno compreso. Se non che questo maleficio presto non toglierà le tende, si sta divertendo, sguinzagliato con la sua figura filiforme, pelosa, nelle arterie e nelle vene della povera gente amichevole e accogliente, occhi sgranati su un mondo recintato ai primordi, un mondo dove la vita e la morte si intersecano esattamente come le eliche del DNA, quasi dovesse l’una sorreggere l’altra, quasi fossero amiche. 
Mentre scrivo, qui a Godrich, nel Ospedale di Emergency attrezzato mirabilmente per combattere il mostro, un corpo viene avvolto nella body bag e accompagnato all’obitorio. Per quanti ne salvano, molti salutano e prendono commiato. Ricorda in qualche maniera il supplizio di Sisifo, sospingere in eterno un masso fino alla cima della montagna per poi vederlo ricadere alla base e da lì sospingerlo di nuovo per poi vederlo ricadere alla base e spingerlo di nuovo, e via così per sempre. Sisifo non mollò. Sembra che questi uomini e queste donne, di mollare non abbiano cuore. Si fanno carico del masso e vanno avanti. Spesso, ti sorridono.
CLAUDIO CAMARCA

6 Gennaio 2015
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