Musica & Teatro
4:45 am, 8 Ottobre 24 calendario

Giangilberto Monti: «Vi racconto Dario Fo e Franco Califano»

Di: Patrizia Pertuso
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Dario Fo e Franco Califano. Due nomi che affiancati sembrano avere ben poco in comune. Eppure c’è un filo che li lega, quello tessuto da Giangilberto Monti che domani darà il “la” alla settimana milanese dedicata a Dario Fo e a Franca Rame con “Le canzoni del Signor Dario (Fo)”, di scena al Teatro Gerolamo dalle 20: la performance musicale ripercorrerà i ritornelli buffoneschi e le strofe più stralunate di Fo, rievocando il suo ostinato ribellismo negli anni più oscuri del nostro paese, senza dimenticare l’ironia, lo sberleffo e la poesia che segnò il suo lavoro. Sarà ancora Giangilberto Monti il protagonista di “Franco Califano, il Prévert di Trastevere”, primo esempio di radiodisco italiano, in uscita l’11 ottobre.

Da Dario Fo a Franco Califano, un percorso non semplice…

«Sono due progetti molto diversi. Il primo è uno spettacolo che fa parte di un progettone sul mondo musicale di Dario Fo che è iniziato con un libro, poi un disco, poi uno spettacolo, poi un radiodramma. È stato prodotto in periodo pre-covid dal Teatro Verdi di Milano, ma il Covid ha impedito qualsiasi tipo di proseguimento anche se è andato molto bene. Dopo 4 anni, il Teatro Gerolamo, volendo organizzare una settimana sulla figura di Dario Fo, mi ha chiesto di produrre lo spettacolo con un’ospite musicale importante, Paolo Tomelleri, memoria storica delle canzoni che compose con Jannacci. Ma nello spettacolo c’è molto altro: parla del mondo musicale di Dario Fo, quindi di tutta la parte di teatro canzone».

Lei hai lavorato sia con Dario Fo che con Franca Rame.

«Sì, nella stagione 1980/81».

Che ricordo ha?

«Un ricordo molto forte. Dario è stato il mio maestro scenico perché ha fatto parte di un periodo molto importante della mia vita artistica. Avevo terminato la mia prima parte di contratto con l’attuale Sony, volevo continuare la carriera di musicista, ma mi rendevo conto che mi mancava una parte di teatro, una parte importante perché gli spettacoli mischiano questi due mondi, questi due modi di raccontare storie. Ho rotto le scatole per un anno a Dario Fo. Dopo il primo provino a casa sua mi ha cacciato dicendo che non sapevo fare niente se non cantare. Mi sono messo a studiare dizione, perché l’arte è anche studio e fatica, e, dopo sei mesi, ho fatto un altro provino stavolta davanti a Franca Rame. Lei mi ha preso per una commedia che ha girato un anno in tutta Italia, “Clacson, trombette e pernacchi”».

Dario Fo e Franca Rame sono state due colonne portanti del teatro italiano.

«Mi hanno insegnato molto. Per un anno sono stato con loro tutto il giorno. Quel periodo per me è stato come frequentare l’università del teatro per capire come funzionano certi meccanismi con una grandissima rigorosità perché Dario era molto pignolo: non c’era nulla di improvvisato in realtà, era tutto molto scritto, pensato. Franca era la parte migliore, quella che completava la coppia scenica sia nella vita che sulla scena».

A volte la figura di Franca Rame viene messa in secondo piano rispetto a quella di Dario Fo…

«È assolutamente sbagliato. Ci tengo a dire una cosa: mi fa piacere che ci sia questa settimana dedicata a loro perché secondo me mentre a Milano si celebrano molto Gaber e Jannacci è come se avessimo dimenticato l’enorme apporto teatrale sociale e civile di quello che facevano Franca e Dario, l’autore italiano più rappresentato all’estero. Molti italiani non se ne sono accorti finché non hanno consegnato a Fo il Nobel nel ’96. È una vergogna perché lui è stato l’inventore del teatro cabaret, della commedia, della satira In Italia dopo la guerra, dal ‘52 al ‘59. Invece molta stampa, molti critici e certa parte della società lo descrivono come “divisivo”. È una parola che a me fa schifo. Che vuol dire divisivo? Stiamo parlando della grande capacità artistica di un uomo che ha inventato linguaggi scenici, un certo tipo di scrittura, un certo tipo di satira che nella musica ha dato molto. Mi indigno perché la città di Milano non è stata ancora capace con le sue istituzioni di intitolare un teatro a Dario Fo. L’hanno intitolato a Strehler ma non a Dario Fo e questa è una vergogna. Hanno intitolato un parco a Franca Rame in una desolata periferia tra Milano e Sesto San Giovanni dove non ci andrà nessuno. È vero, c’è la palazzina Liberty intitolata a entrambi, ma è anche vero che lì non si fa teatro».

Da Dario Fo a Franco Califano, il Prévert di Trastevere. Lei ha firmato diversi radiodrammi: cos’è il radio disco?

«Me lo sono inventato io. Per capirci, è un original radiodramma soundtrack, un disco con un code che rimanda a una produzione radiofonica. Alle spalle c’è un radiodramma.  Nemmeno gli svizzeri per i quali lavoro in radio, avevano ben capito. Alla mia proposta hanno risposto: “tu spiega bene a stampa che stampa non capisce altrimenti”. Ecco, ho spiegato. Poi chiamatelo come volete a me piace il radio disco ma potete anche chiamarlo Mario».

E cosa contiene il suo radiodisco?

«C’è l’interesse a raccontare la vita artistica di Califano. Tutto è partito da un libro scritto con Vito Vita sulla sua storia e sulle sue canzoni, poi ho scritto un radiodramma per la radio Svizzera. Per il  libro abbiamo posto una sola condizione: che non si parlasse dei pettegolezzi e del gossip legati a Califano perché a me interessava la rivalutazione della sua musica. Ha scritto canzoni bellissime, ma per anni è rimasto schiacciato dal suo personaggio. È stato uno dei fautori del teatro canzone al Centro Sud mentre al Nord c’era Gaber. L’anno scorso la Rai aveva realizzato un film su Califano con Leo Gassman che ha fatto un ottimo lavoro, ma si è trattato di un lavoro di mimesi. Non potendo fare delle cover delle sue canzoni, invece, io ne ho scelte una dozzina che mi piacevano, le ho riarrangiate e interpretate a mio modo. Califano faceva gli spettacoli dove, a un certo punto, tra una canzone e l’altra, inseriva monologhi quando andava in scena nei teatri perché non poteva più esibirsi nei locali visto che la polizia ogni volta chiedeva i documenti a tutti. Di fatto ha inventato una sorta di teatro canzone a suo modo. Questo mi ha incuriosito, mi ha stupito, mi ha spinto a lavorarci di più. Ho pensato di scrivere un radiodramma per la radio Svizzera con la quale collaboro spesso. Il libro è un’ispirazione ma non c’è una riga del libro nel radiodramma musicale».

Lei chiama Califano come il Prévert di Trastevere…

«Sì, per la versione poetica dell’amore che lui ha cantato in tutti i modi possibili. Oltre ad essere il Prévert di Trastevere secondo me ha anche un modo molto pasoliniano nel descrivere le sue vicende. Il suo concerto nel carcere di Rebibbia è assimilabile a quello che fece Johnny Cash nel ’68 per i detenuti di Folsom Prison, in California. Califano è stato una persona che ha dato moltissimo all’arte italiana. Adesso escono omaggi su omaggi e la gente comincia a riconoscerne il valore. Non ha avuto una vita facile: è stato per due volte giudicato e per due volte assolto, però ne ha subito le conseguenze: due processi in cui i suoi compagni sul banco degli accusati erano Walter Chiari, Lelio Luttazzi e Enzo Tortora. Stiamo parlando di un uomo che ha attraversato la storia musicale italiana. A me non interessa collocarlo da un punto di vista politico, mi interessa la sua arte. Era amicissimo di Piero Ciampi, adorava De André, ma la gente non lo sa. La prima volta che è entrato in galera il suo compagno di cella era Pietro Valpreda, l’anarchico. Tutto quello che ha fatto è legato alla consumazione di cocaina di cui lui ha dichiarato più volte di essere dipendente; però è stato sempre scagionato dalle accuse».

Ultima domanda. Lei è laureato in ingegneria chimica. Ha scritto radiodrammi, testi per Aldo e Giovanni, ha lavorato sulla produzione musicale di Boris Vian e sul Dizionario dei comici. È un ingegnere pentito?

«Questo non lo so assolutamente. Non ho una risposta. Non mi sento un ingegnere pentito. Mi sono sempre piaciute la matematica e la chimica, leggo ancora oggi dissertazioni sugli astronauti. Credo che la curiosità faccia parte della natura umana».

PATRIZIA PERTUSO

 

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8 Ottobre 2024 ( modificato il 7 Ottobre 2024 | 17:51 )
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