Roberto Vecchioni
8:00 am, 16 Giugno 24 calendario
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Vecchioni a Narni: “I sogni, una corazza che ci dà forza”

Di: Orietta Cicchinelli
Vecchioni
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L’alba a Narni Città Teatro 2024 si apre all’Ala Diruta in compagnia di un Roberto Vecchioni in formissima, a parlare di Sogni Sospesi davanti a un’affollata platea. Il professore, 81 primavere dalla sua, non ha peli sulla lingua (“alla mia età, posso dire quel che voglio”, sottolinea), vola dalla filosofia alla letteratura, dalla storia al mito fino ai giorni nostri. E, se da un lato confessa di sognare sempre, “la sera prima di andare al letto che una parte del suo pensiero politico vinca”, dall’altra sogna cose concrete che poi si realizzano. Come quell’anno, era il 2011, in cui vinse il Festival di Sanremo (che Vecchioni confessa di non amare e non seguire affatto), con “Chiamami ancora amore”. Una canzone nata per caso alle 4 di notte, riflettendo su una frase del portiere di un hotel romano dove lui alloggiava: “addà passa’ a nuttata”. 

Vecchioni e l’invito al sogno

Il cantautore e scrittore brianzolo, al culmine di un avvincente viaggio letterario, invita il pubblico del Festival (diretto da Davide Sacco e Francesco Montanari) a non sognate in grande! «Sognate il vostro piccolo sogno. Noi possiamo migliorare – spiega – ma la costruzione di un mondo perfetto è possibile! Il sogno è come un anticipo di qualcosa che possiamo fare. Niente lampade di Aladino che finiscono sempre male! E non sognate da soli altrimenti è una masturbazione. Il sogno è una difesa una corazza per i giorni peggiori… Incoraggiate sempre i vostri figli a sognare!», raccomanda.

I giovani e il viaggio

Vecchioni apre l’incontro albeggiante parlando ai giovani, come sa fare da bravo prof qual è, senza mai salire in cattedra. «Quando una madre dice al figlio: stai zitto tu non capisci niente… Non date retta, perché i ragazzi devono provare tutto e fare tutto il giro prima di tornare a casa dove c’è il vero tesoro».

E per spiegare meglio la sua tesi racconta una storia.
«Artù, un poeta vero, a 15 anni scriveva cose che nessuno capiva. Lui aveva ribaltato il senso della poesia – racconta l’autore di Samarcanda – con immagini sublimi, simboliche che venivano da dentro, dove tutto è incasinato perché quando scrivi dell’anima scrivi senza una cronologia. A 17 anni Artù aveva scritto tutto in due libri meravigliosi. Allora partì da Parigi e andò in Africa dove cominciò a fare il contrabbandiere, a sparare, a uccidere, a vendere droghe. Poi, a 27 anni, stanco e con una voglia di qualcosa che non aveva realizzato, fu ferito a una gamba. Allora intraprese il viaggio di ritorno verso la Francia per potersi curare, ma non arrivò mai nella sua città d’origine. Prima di morire, ripensò al suo battello pazzo con cui aveva girato il mondo per cercare qualcosa che non sapeva. L’uomo vive per cercare qualcosa di magnifico che neppure sa. Artù, arriva alla conclusione che il posto migliore per approdare e vivere sarebbe stata casa sua, con quella pozza di acqua davanti e con la barchetta che poteva far girare come voleva».

Odisseo e l’uomo

«Il sogno – continua Vecchioni – ha due valenze: la gioia di chi trova la casa dentro di sé (diventa chi sei, dirà un filosofo), e Artù che torna alle origini. Poi c’è il sogno di Odisseo (colui che è odiato da tutti) che gira il mondo alla ricerca di qualcosa del suo sogno che non è scoprire altri mondi, ma cercare di diventare chi è perché non è contento di sé. Trova Calipso un sogno bellissimo dove approdare per un po’, ma sa che deve tornare a casa da Penelope e quindi parte con la zattera per Itaca e ricorda quel che Tiresia gli disse a proposito: tu ti fermerai quando incontrerai una popolazione che non conosci e pianterai il tuo remo… Quindi mai. Odisseo arriva a Itaca, ma poi torna in mare perché deve ripartire! Deve cercare ancora e ancora».

Vecchioni e il figlio del macellaio

Tra un mito e una citazione filosofica, il professore ricorda una piccola storia vissuta. «Un ragazzo che conoscevo figlio di un macellaio – racconta – sognava di imparare e andare a scuola ma il padre non voleva e io gli portavo libri di nascosto che lui leggeva e leggeva tutte le notti, prendendo sberle dal padre. Nonostante tutto lui era felice come chi legge e sogna le avventure: un libro è un sogno. Un giorno il padre gli dice di smetterla perché da grande farà il macellaio. E il ragazzo gli risponde: Una cosa è fare il macellaio altro farlo con una cultura. Da allora suo padre si convinse a mandarlo a scuola. È una favola vera questa che io trovo bellissima!».

Vecchioni la farfalla che sogna

«Poi c’è il sogno dell’uomo che vuole essere farfalla e si sveglia dal sogno – continua il prof – e non sa se è una farfalla che sogna di essere un uomo o viceversa. Questo è l’uomo di Borges, ovvero siamo noi… L’uomo ha due anime una materiale e una sognante
Mentre il Sogno per Pascoli è “infinita ombra del vero”! Non si può catturare. Esiste è fortissima come imperativo categorico e senza sogni non si va da nessuna parte. Il sogno galoppa intorno alla verità e ci dà la forza di cambiarla!».

Una riflessione sui nostri tempi cupi è d’obbligo.
«Viviamo in un’epoca – ammette Vecchioni – in cui i sogni si perdono: i sogni illusori cadono siamo finiti nella stanchezza della speranza. Meno forse i ragazzi. Il nostro egocentrismo ci porta lontano dai sogni a coltivare solo il nostro orticello… E se è vero che dobbiamo costruire il sogno che si può realizzare, gli altri sogni ci servono la sera per immaginare magari il mondo se… La parte mia che è nel sogno si addormenta felice. La mattina, col sole che sorge, torna il sogno nel quale tocca sbatterci continuamente per arrivare a qualcosa… Io sono la farfalla che sogna di essere un uomo, volo e sono libero. Preferisco così». Parola di Roberto Vecchioni.

 

 

16 Giugno 2024
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