Teatro Milano
5:00 am, 14 Giugno 24 calendario

Vladimir Luxuria al Parenti: «Tutte saremmo potute essere Princesa»

Di: Patrizia Pertuso
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Ad inaugurare la nuova stagione estiva del Teatro Franco Parenti di Milano – che si svilupperà fino a settembre tra le sale in via Pier Lombardo, i Bagni Misteriosi e il Castello Sforzesco – ci sarà Vladimir Luxuria che il 19 giugno porterà in scena Princesa, uno spettacolo tratto dalla storia vera di Fernanda Farias De Albuquerque, su testo e regia di Fabrizio Coniglio.

Signora Luxuria, chi è Princesa?

«Potrebbe sembrare quasi un personaggio da fiaba. Princesa in portoghese significa principessa, quella che nelle favole famose aspetta il principe azzurro e poi vissero tutti felici e contenti. Invece, in realtà, è una favola tragica. In questo caso Princesa è il soprannome dato a Fernanda Farias De Albuquerque per il suo atteggiamento molto nobile e sofisticato. È nata maschietto in un paese di campagna del Brasile da una famiglia molto povera: tanti figli, tanti fratelli, tante sorelle. Il padre l’aveva abbandonata. Era stata violentata quando aveva solo 12 anni. Si era prima trasferita a Rio de Janeiro e poi a San Paolo dove aveva iniziato a prostituirsi. Poi ha intrapreso il viaggio della speranza per correggere la fortuna, come ha cantato Fabrizio De Andrè nella canzone dedicata a lei. È venuta in Italia, a Roma e a Milano, sognando di trovare un principe azzurro. In realtà ho trovato solo uomini che l’hanno sfruttata. È entrata in un brutto giro di droga,  alcol e prostituzione…»

Temi drammaticamente attuali.

«Sì, Princesa ha su di sé il peso di tante discriminazioni: è una migrante, una trans, è povera, è una prostituta e poi, alla fine, anche sieropositiva. È un po’ il simbolo di una persona che semplicemente per fare quello che fanno tutte le donne è stata messa ai margini. Voleva solo un principe azzurro».

Quanto c’è di Vladimir in Princesa?

«Io ho fatto un viaggio, ho attraversato gli Appennini e da Foggia mi sono trasferita a Roma per cercare un luogo dove ci fosse più possibilità di esprimermi. Sono stata molto fortunata perché ho avuto la possibilità di studiare e ho ricevuto sostengo: ho ritrovato i rapporti affettivi con la mia famiglia e quando sono andata da Foggia a Roma non ho avuto problemi con la lingua. Per chi, invece, fa un viaggio oltreoceano è tutto molto più complicato. Princesa non ha avuto una rete di conoscenze che l’ha sorretta nei momenti di maggiore difficoltà. Lei non avrebbe mai voluto prostituirsi perché il suo sogno era, se vogliamo, un sogno antifemminista: voleva semplicemente trovare un uomo, sposarlo, avere dei figli, cucinare per lui. Invece è stata costretta a prostituirsi e ha vissuto questi rapporti con grande sofferenza come se fossero ogni volta degli stupri. Per sopportare tutto questo si stordiva di alcol e di droghe, anche le più pesanti. Sarei potuta essere anch’io una Princesa se le condizioni sociali fossero state diverse».

Lo spettacolo con cui apre la stagione estiva del Franco Parenti vede in scena, oltre lei, anche Fabrizio Coniglio che ne ha curato la regia.

«Fabrizio Coniglio interpreta Giovanni, un ergastolano che sta scontando la sua pena In Sardegna. Era il vicino di cella di Fernanda e, in qualche modo, la salvò chiedendole di raccontare la sua storia. Le sue parole vennero raccolte da Maurizio Iannelli, anche lui in carcere a Regina Coeli. Da lì è nato il libro che si chiama Princesa da cui poi Fabrizio De Andrè trasse spunto per scrivere la sua canzone inserita nell’album Anime Salve canzone scritta con Ivano Fossati. Pensi che quando ho conosciuto Dori Ghezzi per motivi di lavoro sono stata a casa sua a Milano e mi sono andata a sedere proprio su quella poltroncina dove Dori mi diceva che si sedeva sempre Faber. E proprio su quella poltroncina sono nati i primi accordi per questa canzone».

Princesa ha vissuto la tragedia di essere una migrante. Alle tante donne costrette a migrare e a prostituirsi o, magari, alla stessa Princesa cosa direbbe lei oggi?

«Ho sempre pensato dovrebbe essere una libera scelta fare le sex workers, non dovrebbe essere l’unica strada. Le donne che sono costrette a prostituirsi sono poi costrette anche a subire discriminazioni. Anche nella mia attività parlamentare ho sempre lottato per il diritto al lavoro affinché sia sempre e comunque una libera scelta. Invece quando ci sono datori di lavoro o anche colloqui nei quali si giudica l’identità sessuale e non la capacità lavorativa soprattutto se la donna è straniera, tutto diventa più difficile. Penso che anche il fatto che io sia diventata parlamentare sia stato rivoluzionario: ha rappresentato un incoraggiamento per molte trans che hanno capito che bisogna lottare per ottenere il proprio spazio nella società».

Una donna per poter avere una sua identità sociale riconosciuta lotta sempre e comunque ancora oggi, purtroppo…

«Alle persone che sono cisgender cioè conformi al genere, nate maschi e che si sentono maschi o nate femmine che si sentono donne, e che quindi non devono lottare per affermare la loro identità di genere, può risultare un po’ difficile pensare quanto la femminilità debba diventare un terreno acquisito. E questo è solo un primo step perché poi bisogna trovarsi il lavoro, il proprio spazio affettivo e, contestualmente, avere i problemi che vivono tutti gli altri con questa spasmodica e irrinunciabile ricerca di se stesse in più. È un po’ come le donne che hanno dovuto combattere per rivendicare il diritto di essere donne lavoratrici, donne e madri, madri e lavoratrici».

Dal numero di femminicidi sembrerebbe che questa battaglia non abbia portato a grandi risultati.

«Non voglio mai assuefarmi a leggere queste notizie sui giornali. È un continuo, un continuo. Penso che le donne nate tali e le donne diventate donne debbano solidarizzare contro i nemici comuni, due concetti che purtroppo vanno sempre a braccetto: misoginia violenta e transfobia».

Sarà mai possibile parlare di persone senza necessariamente far riferimento al sesso biologico?

«Quando scrivo dei post su Facebook, alcuni commenti sono molto carini: mi scrivono che sono una grande donna. Poi c’è qualcuno che aggiunge: “Ma quale donna, ha il pisello non può partorire”. Ho una serie di hater che continuano a ricordarmi le mie origini anagrafiche. Io sono orgogliosamente una donna trans. So bene che ci sono delle differenze con chi è nata donna biologicamente, non sono stupida: so che non potrò mai rimanere incinta, conosco le mie specificità fisiche, ma questo non mi toglie il diritto di realizzare me stessa. Le faccio un esempio che sembrerà strano. È come se una persona che non ha l’uso delle gambe dovesse rinunciare a partecipare alle paraolimpiadi. Anche quelli che qualcuno potrebbe considerare dei limiti, come la mia nascita maschile, non devono mai essere un motivo per frenare la realizzazione del più grande sogno di essere se stessi».

PATRIZIA PERTUSO

14 Giugno 2024 ( modificato il 13 Giugno 2024 | 13:50 )
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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