transizione ecologica
4:03 pm, 20 Giugno 23 calendario

Decarbonizzazione e transizione ecologica: quanto siamo indietro?

Di: Redazione Metronews
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La transizione ecologica è una prateria di opportunità e di occasioni per ripartire e uscire con meno danni dalla guerra e dai cambiamenti climatici. Ma è indispensabile creare un collegamento fertile tra coloro che stanno offrendo disponibilità di collaborazione e chi, le aziende, studiosi e professionisti, continuano fare progressi nella ricerca e nella produzione di soluzioni verdi. Tutto è in discussione: dove abitiamo, che cosa e come lo produciamo, quanto e come ci spostiamo, che cosa e quanto mangiamo, persino il nostro linguaggio e il modo in cui prendiamo decisioni insieme.

Questo è il risultato del confronto uscito dall’european colloquium La Transizione Ecologica (raccontata da chi la fa) organizzato da Istud Business School, diretta da Marella Caramazza, la più antica business school privata italiana, tra le prime a occuparsi di green economy. L’incipit scatta dal libro da poco uscito La Transizione Ecologica (raccontata da chi la fa), curato dal chairman Maurizio Guandalini, edito da Istud Business School, che fotografa la situazione italiana, quello che gira in testa, quello si cerca di fare e gli approdi futuri degli investimenti, circa 65 miliardi di euro del Pnrr, per l’economia circolare, la gestione dei rifiuti, l’efficienza energetica, le infrastrutture idriche e l’idrogeno.

Gli ostacoli alla transizione ecologica

Un fedele dettaglio della situazione attuale lo fa il professor Alessandro Marangoni, direttore scientifico dell’Irex il principale think tank in Italia sulle energie rinnovabili e l’efficienza energetica. “La burocrazia e i sistemi di governance locali restano i maggiori ostacoli alla transizione ecologica. Nonostante le recenti misure di semplificazione, l’aumento delle operazioni nel 2022 degli investimenti nelle energie rinnovabili (valore triplicato) ha peggiorato il divario tra impianti autorizzati e quelli in attesa di autorizzazione. Il rapporto tra progetti in via di autorizzazione e totale richiesto è del 77%, per solare 79%, eolico onshore 83% (fonte Irex Annual Report 2023). In altre parole, solo un quarto circa è stato autorizzato. Sebbene nel 2022 siano sensibilmente cresciute le installazioni (circa 3 GW contro poco più di uno degli anni precedenti), a questi ritmi non si centreranno gli obiettivi al 2030. E’ necessario completare il quadro normativo-regolatorio che potrebbe spingere gli investimenti per la decarbonizzazione. Mancano ancora all’appello provvedimenti chiave come quello sulle aree idonee e sui meccanismi di sostegno come il DM FER1bis e il DM FER2. Rimane sospeso anche il provvedimento sugli incentivi alle comunità energetiche, nonché le per gli accumuli. La pubblicazione della bozza di Piano Energia e Clima da parte del MASE, attesa entro giugno, potrebbe sbloccare la situazione, sciogliendo alcuni nodi, tra cui quello del futuro dell’eolico offshore”.

Le fonti rinnovabili

Ce la farà l’Italia a far la sua parte senza tentennamenti? Risponde l’avvocato Paolo Peroni di Roedl&Partner, una delle associazioni professionali più importanti d’Europa. “Con il Decreto di recepimento della Direttiva Red II – Decreto Legislativo n. 199 dell’8 novembre 2021 – l’Italia si è data l’obiettivo minimo vincolante del 30% come quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e 2050>>. La strada, quindi, è definitivamente tracciata. Anche se, a giudicare dai numeri, è ancora in salita. <<Per raggiungere il traguardo di circa 130 GW – continua Peroni – di impianti da fonti rinnovabili installati entro il 2030 (e una quota della generazione elettrica prodotta da fonti rinnovabili compresa tra il 72 e l’84%), dovrebbero essere installati, da qui al 2030, circa 10 GW di nuovi impianti ogni anno”. Ma sarà estremamente difficile soddisfare il fabbisogno energetico dell’Europa solo attraverso il fotovoltaico e l’energia eolica.

“L’importazione di energia continuerà quindi a essere necessaria a lungo termine – puntualizza Marcello Donini CSR di E.ON – nonostante le incognite conseguenti alla guerra in Ucraina. Sole e vento potrebbero essere usati per produrre idrogeno relativamente a buon mercato nei paesi del Medio Oriente e Nord Africa nei prossimi decenni. Dovrebbero essere installati sistemi pilota che utilizzino l’idrogeno come elemento di base nella catena dall’energia elettrica e l’idrogeno potrà anche essere utilizzato in modi diversi, come ad esempio nell’industria siderurgica e come materia prima in chimica”.

La grande crisi climatica

Sarà proprio la sfida del clima il punto da cui partire per domare tutte le altre crisi. “Serve – spiega l’ingegnere Danilo Bonato, tra i maggiori esperti di transizione ecologica, direttore generale di Erion – l’impegno di tutti per affrontare con determinazione la grande crisi climatica, fonte di distruzione e di costi sociali senza precedenti. L’Europa si è data l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 55% rispetto al 1990 entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050. Per comprendere la portata della sfida, basti pensare che nei 30 anni passati in Italia abbiamo ridotto le emissioni di 100 milioni di tonnellate di CO2 equivalente e nei prossimi 10, per essere in linea con il nuovo target europeo, dovremmo ridurle di circa 200 milioni. Oggi però siamo molto distanti dall’obiettivo “zero emissioni” al 2050. Ecco perché occorre agire ora. E agire bene”. Sarà inoltre necessario introdurre misure di adattamento al cambiamento climatico e una carbon tax con misure compensative, eliminare gradualmente i sussidi alle fonti fossili entro il 2030, ridurre le emissioni di gas serra del 60% al 2030 e puntare alle infrastrutture verdi come stock di carbonio.

Delle distanze e delle incertezze la dottoressa Elena Jachia, direttrice Area Ambiente della Fondazione Cariplo parte dalla guerra in Ucraina: “Un disastro non solo di carattere umanitario e ambientale per i suoi abitanti ma anche in termini di approvvigionamento di materie prime e cibo per molti altri paesi che rischia di ridurre l’attenzione nei confronti della crisi climatica e dell’impellenza di una transizione. È necessario invece mostrare con chiarezza l’urgenza di una maggiore indipendenza dalle fonti fossili, di una decisa sterzata verso le fonti rinnovabili e di una maggiore efficienza energetica degli usi finali. Secondo Gianni Silvestrini, “Le energie pulite, abbinate all’elettrificazione spinta, potranno ridurre a metà secolo del 75% le emissioni di anidride carbonica”. In questo caso, le tecnologie esistono e sono disponibili a costi decrescenti, mentre è necessario colmare un gap culturale a tutti i livelli”.

Le buone pratiche della sostenibilità

Il bello della transizione energetica è che la sua fine è sicura, il suo approdo certo: chi sono i vincenti della transizione si vede benissimo. “Sono chi ha da offrire tecnologie e sistemi di soluzioni a zero emissioni – entra nel merito il professore Valentino Piana, dell’University of Applied Sciences Western Switzerland Valais e direttore Economics Web Institute -. In linea generale, si tratta di chi sostituisce “beni di consumo” (usa e getta) con servizi derivanti da beni durevoli, alimentati da fonti rinnovabili. Le mezze soluzioni, le soluzioni ponte, non funzionano. Nel settore dell’energia il famoso metano è stato un ponte rapidamente bruciato da aumenti ampiamente prevedibili, come li avevo previsti per iscritto nel commentare la SEN nel 2017. Il cocktail di fotovoltaico e gas naturale è un cocktail tossico perché quando il sole non brilla il gas diventa il 100%, facendo la gioia e i sovraprofitti di Gazprom e alleati. Nel campo dell’elettricità è evidente che a vincere saranno eolico e fotovoltaico, oggi ancora più convenienti e proni all’innovazione, come nel caso dell’ibridazione con l’idroelettrico tramite il fotovoltaico flottante”.

La sostenibilità chiama, la tecnologia risponde. “Il percorso delle imprese e della manifattura verso la sostenibilità, passa attraverso una combinazione di scelte strategiche che toccano, oggi più che mai, la tecnologia digitale – testimonia l’ingegnere Fabio Golinelli manager di ABB – e un approccio olistico e circolare che coinvolga l’intera catena del valore. Partendo dai fornitori per arrivare ai clienti e all’eco-sistema pi ampio per creare un impatto condiviso che tocchi le emissioni di scopo 1, 2 e 3 (ossia sia quelle dirette che quelle indirette). L’efficienza energetica, l’adozione di tecnologie digitali, l’integrazione delle fonti rinnovabili attraverso le smart grid e i nuovi modelli prosumer, si affiancano a nuove opportunità rappresentate dall’economia circolare che, anche in ambito industriale, orienta la ricerca verso prodotti e soluzioni realizzati con materie prime sostenibili, con un occhio all’efficienza delle risorse e dei processi durante la produzione e l’uso, così come alla gestione dell’intero ciclo di vita”.

La svolta verde parte dalle case e dalle comunità di cittadini

Imprese, governi nazionali responsabili della politica energetica e delle infrastrutture, subito dopo ci stanno le amministrazioni cittadine che sono in una posizione unica per ridurre il consumo di energia e le relative emissioni: le città ospitano oltre il 55% della popolazione mondiale e contribuiscono per circa tre quarti dell’anidride carbonica in atmosfera (CO2). “Se oggi si usano ancora sistemi di riscaldamento con caldaie a gas – precisa Riccardo Bani, presidente di TEON – o gasolio è soprattutto perché l’Italia ha da una parte un edificato vecchio, dall’altra il settore non brilla in innovazione: 1 edificio su 2 ha più di 50 anni e 9 edifici su 10 hanno i radiatori, costruiti e dimensionati per funzionare a temperature elevate e che non sono alla portata delle pompe di calore tradizionali. Il fatto che gli edifici italiani, tranne il nuovo, non siano ecosostenibili è dimostrato dall’evidenza che nelle aree urbane contribuiscono in media per il 65% all’emissione di CO2 in atmosfera, quasi tre volte i quantitativi emessi dai trasporti. E negli ultimi 15 anni questo contributo è aumentato costantemente. Se guardiamo alle rinnovabili nel settore del riscaldamento, scopriamo che raggiungono solo il valore del 19% dei consumi e in più che per oltre il 70% sono composte da fonti emissive, 230 come le biomasse”. Le comunità di cittadini, la condivisione, la partecipazione “noi – spiega Massimiliano Braghin ceo e fondatore di Infinityhub – abbiamo creato la prima Energy Social Company, il primo portale per la conversione energetica sostenibile made in Italy, sostenuta da una galassia di uomini e donne che hanno deciso di “sperare” nel futuro, sapendo che agire per il benessere del creato e delle creature ha sempre un senso, oltre 2000 investitori e finanziatori ad oggi. L’intento originale era quello di far partecipare l’intera collettività – o comunque una buona parte di essa – ai benefici, anche economici, di progetti sostenibili, che troppo spesso avevo vissuto vedendoli decollare con sole ed esclusive logiche business to business, con metodi prettamente finanziari e, troppo spesso, non industriali”.

20 Giugno 2023
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