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5:00 am, 16 Luglio 24 calendario

«I Dottor Sogni offrono un sorriso in più ai bimbi in ospedale»

Di: Patrizia Pertuso
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Si chiama Fondazione Theodora ed è appena entrata nel 30esimo anno di attività. Realizza la sua missione in un contesto ospedaliero – pediatrico in sinergia con il personale medico e sanitario. A raccontare più approfonditamente la Fondazione e il lavoro dei Dottor Sogni ci pensa Emanuela Basso Petrino, consigliere delegato di Theodora.

Prima di tutto, come avete scelto il nome della Fondazione?

«La Fondazione nasce da una storia vera. Theodora era la mamma dei due fondatori. Uno dei suoi due figli, André Poulie, da piccolo subì un lunghissimo ricovero in un ospedale in Svizzera per una grave malattia. La signora Theodora ogni giorno andava a trovarlo e non solo supportava le sue emozioni con giochi e intrattenimento, ma si dedicava anche agli altri bambini ricoverati nello stesso reparto. Quando la mamma mancò per un tumore, André e suo fratello Jan decisero di creare la Fondation Theodora nel 1993 in memoria di questa mamma speciale».

In quanti altri Paesi è presente?

«Nel 1995 siamo arrivati in Italia, ma siamo presenti anche in Spagna, Inghilterra, Bielorussia e a Hong Kong».

Theodora si avvale dei Dottor Sogni, chi sono?

«I Dottor Sogni sono nostri dipendenti, artisti professionisti assunti dalla Fondazione e formati da per intervenire in un rapporto individuale con bambini e famiglie in situazioni di grandi difficoltà nei reparti di alta complessità pediatrica. Agiscono in situazioni di grave fragilità e ascoltano le emozioni sulla base di un passaggio di consegne che i Dottor Sogni ricevono dalla caposala o dal medico. Su quella base, costruiscono una visita speciale per i bambini. Tutto questo serve per consentire al piccolo paziente e alla sua famiglia prima di evadere da quella stanza di ospedale liberando le emozioni più autentiche: un bambino quando è ricoverato purtroppo viene considerato un malato; il nostro obiettivo è quello di considerare il paziente come un bambino e cercare di accudirne la “parte sana”».

Quando si entra in un percorso di cura c’è sempre questa distinzione tra la patologia, che ovviamente è in primo piano, e il percorso emotivo e emozionale che spesso non viene considerato malgrado numerosi studi ne sottolineino l‘importanza nel percorso di guarigione…

«Questo aspetto di cui lei parla è fondamentale. Oggi ci sono sempre più studi che noi citiamo nel nostro bilancio sociale in base ai quali la medicina cerca di adottare un principio integrato e considera il paziente non solo più come patologia, ma nella sua dimensione a 360 gradi. Per guarire una persona ha certamente bisogno delle cure mediche, degli interventi chirurgici e di tutte le terapie che servono alla patologia, ma i bambini devono avere un supporto psicologico. La struttura ospedaliera oggi non è in grado di colmare anche questa lacuna ed è qui, in questa carenza, che interviene Fondazione Theodora con i suoi operatori per supportare i genitori e i bambini in un percorso di cura che spesso è molto doloroso e non sempre ha un esito positivo. I Dottor Sogni diventano anche un elemento di supporto all’equipe medica ospedaliera ponendosi come trade d’union tra il bambino e il personale medico».

«Lo humour è l’antidoto per tutti i mali» diceva Patch Adam, il medico riconosciuto come il fondatore della clownterapia. Ci sono dei punti di contatto tra il suo e il vostro lavoro?

«Il principio è esattamente lo stesso. Patch Adam era un medico vero che faceva il clown, i nostri, invece, sono performer che fanno i medici finti. Ogni visita con il Dottor Sogni viene svolta con camici veri, sulla base di un calendario stabilito ed è l’unica visita che i bambini aspettano con grande felicità».

Mi fa un esempio di una visita?

«Si svolge su base settimanale perché si effettua in reparti di lunga degenza e quindi questo consente al bambino di avere un’aspettativa positiva tra una visita e l’altra e di mantenere quel grado di eccezionalità della presenza del Dottor Sogni in reparto che se fosse più frequente diventerebbe normale come la presenza degli infermieri. Viene svolta bussando alla porta, quindi c’è una posizione di centralità del bambino che se non vuole può non accogliere in stanza il Dottor Sogni diversamente da quanto accade con medici infermieri a cui il bambino non può dire di no. Sulla base del passaggio di consegne dai medici, nel rispetto della privacy, i nostri performer ascoltano il bambino, recepiscono le sue emozioni, cercano un aggancio che è un elemento che crea o rinnova la relazione rispetto alla settimana precedente e poi su quella base improvvisano. Dico sempre che è un po’ come nelle stanze in cui le finestre non ci sono o non si possono aprire: è come se si riuscisse a cambiare l’aria perché cambia l’atmosfera nella stanza ma non solo durante la visita. C’è questo long lasting effect per cui il buonumore, la liberazione delle emozioni che c’è stata durante la visita, viene rielaborato dal bambino e dalla famiglia nel corso delle ore e dei giorni successivi fino al prossimo incontro».

Immagino sia abbastanza difficile per i performer improvvisare ogni volta.

«È la ragione per la quale hanno una formazione specifica iniziale. Per diventare Dottor Sogni senior ci vogliono tre anni di esperienza e di formazione sul campo. Cominciamo con una formazione teorica e poi si passa alla pratica».

Su cosa si basa questa formazione?

«Deve esserci già una formazione di natura artistica: abbiamo attori di teatro come autori di libri per l’infanzia. Noi offriamo una formazione specifica sulla base della nostra esperienza trentennale per fornire strumenti di comunicazione, di interazione e di improvvisazione artistica così come quelli per intervenire in situazioni di fragilità non certo come se si fosse a teatro. Inoltre vengono forniti anche supporti di natura psicologica per quanto riguarda la relazione con la morte, la capacità di affrontare il lutto, il dolore, perché terminata una visita, si chiude la porta di quella stanza e si deve bussare a quella successiva del reparto. Ogni volta devono ripartire da zero: per questo ricevono anche una supervisione psicologica periodica per evitare il rischio di burn-out».

C’è stato un caso che ritiene essere più rappresentativo del lavoro della Fondazione?

«Ne ho uno che ogni tanto ricordo di una bambina che, dopo un lunghissimo ricovero, per fortuna guarì. Dopo 7 mesi di ospedale l’avevano dimessa, ma, al momento di uscire, disse alla mamma: “No mamma, fermiamoci un altro giorno perché domani c’è la visita del Dottor Sogni e io voglio salutarlo”».

PATRIZIA PERTUSO

 

 

 

 

 

16 Luglio 2024 ( modificato il 15 Luglio 2024 | 21:19 )
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