Teatro in mostra
5:00 am, 29 Maggio 24 calendario

Luì Angelini: «Viti e bulloni protagonisti del nostro teatro in valigia»

Di: Patrizia Pertuso
condividi

Sono oggetti quotidiani come posate, rastrelli, scarpe, viti e bulloni. Ma sono anche personaggi di testi di tutto rispetto: dall’“Odissea” alla shakesperiana “Tempesta” passando per le fiabe più note, giusto per citare qualche esempio. Ad offrir loro questa nuova e insolita veste ci pensano Paola Serafini e Luì Angelini, performer di teatro d’oggetti.

Signor Angelini, spieghiamo subito cosa è il “teatro di oggetti”.

«Il teatro di oggetti è una piccola parte del grande mondo del teatro di figura che è tutto quel teatro che usa delle forme invece che esseri umani come nel teatro d’attore. Del teatro di figura, per esempio, fanno parte i burattini, le marionette, i pupi, le ombre. Negli anni ‘70 c’era una sovrabbondanza di oggetti e un certo distacco da questi generato dal consumismo. Proprio questo atteggiamento ha creato una certa ironia intorno a queste cose e, soprattutto in Italia e in Francia, è nato un filone all’interno del quale si mettevano in scena oggetti di uso quotidiano per farli diventare strumenti narrativi ed espressivi. Noi abbiamo fatto parte di queste prime sperimentazioni e tuttora continuiamo seguendo quell’esperienza. Abbiamo cominciato a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 facendo teatro di oggetti con noi in scena che li muovevamo».

Che oggetti usavate allora?

«I primi sono stati oggetti assemblati: una racchetta da tennis con i bottoni per rappresentare la faccia di uno sportivo, uno specchio truccato con il rossetto e la matita per gli occhi per fare la signora vanitosa, un gallo composto da ritagli di lattine di carne in scatola. Poi, man mano, ci siamo indirizzati sempre più verso l’uso di oggetti così come sono. Per la nostra “Odissea” abbiamo fatto tutto con oggetti che le persone usano quando fanno il bagno: c’erano spugne, saponette e cose di questo genere».

Poi sono arrivate le Macchine per il Teatro Incosciente…

«Sono nate come uno sviluppo quasi naturale. Da una parte ci sono le performance, che sono spettacoli teatrali, dall’altra il progetto delle Macchine per il Teatro Incosciente».

Come è avvenuto questo passaggio?

«Occupandoci anche di formazione abbiamo sempre sostenuto che il teatro è fatto di indicazioni di azione e di battute. Da un lato c’è il testo che il regista dà all’attore, dall’altro quello che il drammaturgo dà all’autore. Nel 2000 ci è venuta l’idea di separare queste due aspetti e di tenere le indicazioni di azioni separate dalle battute, creando due tracce audio per due giocatori. In questo modo si crea una performance particolare in cui la scala del teatro è portata alle dimensioni di una valigia sulla quale è stata praticata un’apertura come se fosse un boccascena. Poi, da una parte c’è un manovratore che riceve in cuffia le istruzioni da seguire per muovere gli oggetti, dall’altra lo spettatore che ascolta, sempre in cuffia, un testo che è la storia illustrata di ciò che vede. Il risultato è che colui che “fa” lo spettacolo ignora che spettacolo sta facendo».

Almeno finché i ruoli non si invertono…

«Certo. Avviene una cosa interessante e buffa con le Macchine: il manovratore fa la faccia di quello che si domanda cosa diavolo gli stiano facendo fare vedendo l’altro, davanti a sé, ridere. La necessità di scambiare i ruoli, per cui quello che ha manovrato diventa spettatore e viceversa, nasce per far capire a entrambi cosa hanno appena fatto o visto: l’ex manovratore, ora spettatore, capisce perché chi era davanti a lui rideva, e l’ex spettatore, ora manovratore, comprende finalmente la faccia da bollito di chi muoveva gli oggetti senza ascoltare la storia a cui erano legati».

Lei mi ha parlato di spettacoli in teatro e di “spettacoli” con le Macchine. Qual è la differenza?

«Fondamentalmente le differenze sono due. La prima è data dal numero di partecipanti: in un teatro possono entrare anche 100 persone, non molte di più per le dimensioni degli oggetti che altrimenti non potrebbero essere visti da tutti. La Macchina, invece, è fatta per due persone alla volta. Di conseguenza c’è una necessità di brevità: mentre lo spettacolo può durare anche un’ora o un’ora e un quarto, quello con la Macchina non deve superare i 10 minuti per evitare che le persone perdano la pazienza o che monopolizzino troppo il gioco senza che altri ne possano fruire».

Veniamo ai testi. Quale criterio usate per sceglierli?

«C’è un criterio preciso. Da quando ci occupiamo di teatro di oggetti abbiamo deciso di non lavorare su testi originali, ma su quelli che avessero un grado di riconoscibilità e di conoscenza molto alti da parte degli spettatori. Questo aspetto facilita chi assiste: non si deve preoccupare di concentrarsi sulla comprensione di “cosa” succede, ma può osservare “come” sta venendo fatta una storia che già conosce e che magari ha già visto.  Adesso la rivede in un’altra veste, e ne sperimenta una nuova fruizione. Per questo motivo la scelta dei testi punta, sia negli spettacoli che nelle Macchine, sui classici».

Per esempio?

«Un classico della fiaba può essere “Cappuccetto Rosso”, “Cenerentola” o “Biancaneve”. Un classico della letteratura, “Frankenstein”, l’“Odissea” o “I promessi sposi” che abbiamo realizzato solo per il palcoscenico. Ultimamente, con le Macchine, invece, abbiamo fatto due varianti di un’opera shakespeariana, “Tempesta”. Però, le dico subito che in questo ambito non amiamo molto rivelare i temi delle performance perché non vogliamo togliere il gusto della sorpresa a chi viene a giocarci».

L’oggetto più semplice che avete usato nelle Macchine e che ha reso veramente bene il “personaggio” che doveva interpretare.

«Sicuramente viti e bulloni».

Quello più complesso?

«Quelli delle Macchine sono tutti oggetti non elaborati e non assemblati. Quindi, l’oggetto più complesso potrebbe essere alcune figurine della Playmobil»

Viti e bulloni che cosa hanno “interpretato”?

«Il dado è diventato una scarpa e la vite era la sorella di qualcuno. Non vorrei svelare troppo…».

Le figurine, invece?

«Le figurine erano due contadini che venivano uccisi da un astuccio».

Alcuni di questi oggetti sono in mostra al Museo del burattino di Bergamo fino al 15 giugno: come avete scelto quelli da esporre?

«Gli oggetti delle Macchine che producono incanto quando vengono usati sono tendenzialmente inespressivi dal punto di vista puramente plastico. Quindi, in mostra le Macchine ci sono state solo sabato scorso e ci torneranno il primo giugno. Tutti gli altri giorni è possibile vedere esposti i materiali più plasticamente espressivi da soli, perché per rendere interessanti le cose ferme queste devono avere un contenuto in più. I materiali che le citavo di “Odissea” sono spugne e saponette e non hanno senso se viste fuori dal loro contesto. In mostra ci sono oggetti un po’ più assemblati. E poi c’è un’installazione realizzata ad hoc per il museo in una piccola stanza, alla quale il pubblico accede in piccoli gruppi, e assiste a un brevissimo estratto dal punto culminante di “Pinocchio”. Anche se Collodi lo chiama squalo, il nostro immaginario ci ha suggerito che in uno squalo non ci possono stare così in tanti e quindi bisogna che diventi almeno una balena. In esposizione c’è proprio la balena e un Pinocchio che è diventato barca per portare in salvo Geppetto: diciamo che è il momento dell’evoluzione del burattino, da discolo a persona responsabile».

Lei mi ha parlato di arte, gioco e teatro: che rapporto hanno fra loro?

«Sono i vertici di un triangolo. È come se si osserva il triangolo dei colori: lungo la linea che sta tra il blu e il rosso si manifestano tutti i toni del magenta, lungo la linea che sta tra il rosso e il verde si manifestano i gialli, lungo la linea che sta tra il verde e il blu si manifestano i ciano. È una relazione di interdipendenza in cui ognuno suggerisce delle varianti al modo di essere dell’altro».

PATRIZIA PERTUSO

(nella foto, la scarpa interpreta Circe, le noccioline sono i compagni di Ulisse mentre i salamini sono gli stessi uomini trasformati in maiali)

29 Maggio 2024 ( modificato il 31 Maggio 2024 | 10:45 )
© RIPRODUZIONE RISERVATA