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9:48 pm, 30 Marzo 24 calendario

Sandokan è recluso «in stanza singola e videosorvegliata»

Di: Redazione Metronews
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Francesco Schiavone, detto Sandokan, è recluso al 41 bis «in una stanza singola e videosorvegliata» nel carcere dell’Aquila. Lo si apprende da fonti penitenziarie. In futuro, dovrebbe essere applicato un programma di protezione sul quale vigerà la massima riservatezza. Il boss della camorra ha avviato un percorso di collaborazione dopo 26 anni di carcere ed è stato trasferito da Parma al capoluogo abruzzese.

Ieri la decisione di Schiavone di pentirsi e collaborare

Il capo indiscusso del clan dei casalesi ha 70 anni e ha trascorso gli ultimi 26 in regime di carcere duro. Ieri, la decisione di pentirsi e iniziare a collaborare. Decisione che, secondo Roberto Saviano e altri, potrebbe essere una farsa: «La mia grande paura – scrive su X – è che possa sembrare una resa ma che in realtà stiano proteggendo i propri soldi, evitando ergastoli e accordandosi con nuovi capi. Le organizzazioni criminali sono l’economia vincente del nostro paese. Tutti sembrano averlo dimenticato».

Sandokan è malato di tumore ed è stato trasferito a L’Aquila

Fatto sta che Sandokan sta seguendo il percorso già intrapreso dai figli Nicola (in carcere dal 2010, pentito dal 2018) e Walter (collaboratore di giustizia dal 2021). Schiavone, da qualche anno, è malato di tumore, e di recente è stato trasferito nel carcere di L’Aquila. È il secondo capo clan dei Casalesi a pentirsi dopo Antonio Iovine detto “o ninno”, che ha cominciato a collaborare con i giudici nel 2014.

Schiavone  iniziò la sua carriera criminale come autista di Ammaturo

Schiavone  iniziò la sua carriera criminale come autista e guardia spalle di Umberto Ammaturo; venne arrestato per la prima volta nel 1972, appena 18enne, per detenzione e porto abusivo di arma da fuoco. La permanenza in carcere durò poco e una volta uscito venne denunciato per detenzione di armi, lesioni e spari in luogo pubblico. Partecipò ad alcune guerre fra diversi clan camorristici che causarono, nel casertano, centinaia di vittime.

Bardellino lo arruolò nella Cosa Nostra Casalese

Antonio Bardellino notò le sue potenzialità e lo arruolò nel suo gruppo dirottandolo in qualche occasione alle dipendenze del narcotrafficante Umberto Ammaturo quando questi aveva bisogno di un autista. Agli inizi del 1981, insieme al cugino Carmine venne formalmente “battezzato” diventando un affiliato a quella che verrà definita la Cosa Nostra Casalese perché ispirata alla mafia siciliana.

Sandokan nella lotta tra la NCO e la NF

Si schierò con Bardellino e Iovine, leader di spicco della Nuova Famiglia, contro la Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo. Fu lo stesso Bardellino ad inserirlo nella delegazione che partecipò a uno storico summit che si svolse nella tenuta di Lorenzo Nuvoletta, a Marano, dove ai rivali fu comunicato di non mettere piede nella zona dell’agro aversano.

La tregua con Cutolo durerà pochi giorni e Schiavone sarà uno dei soldati più attivi dell’esercito di Bardellino nella guerra contro la NCO.

Quando Cutolo fu sconfitto, Schiavone, conscio di dover rimanere per chissà quanto ancora nelle retrovie poiché la leadership di Bardellino sembrava intoccabile e il suo numero due era Iovine, cavalcò l’onda di insoddisfazione che stava montando all’interno dell’organizzazione nei confronti del capo, accusato di aver accumulato grosse ricchezze lasciando ai suoi sottoposti solo le briciole.

Una faida interna scoppiò poi quando il fratello di Mario Iovine, Domenico, fu ucciso su ordine di Bardellino perché sospettato di essere un confidente dei Carabinieri. Per sobillarlo, Schiavone disse a Mario Iovine che era giusto vendicarsi e così Bardellino fu ucciso in Brasile nel maggio del 1988.

La coppia Iovine-Schiavone al vertice del clan dei Casalesi

A quel punto al vertice del clan dei Casalesi si insediò la coppia Iovine-Schiavone con Francesco Bidognetti in una posizione più defilata. Luigi Basile, uno dei fedelissimi di Bardellino, per salvarsi giocò d’anticipo e si costituì: sarà il primo a fornire informazioni utili a ricostruire il percorso che ha portato Schiavone in cima alla piramide della cosca.

Con Schiavone al timone benché latitante all’estero, l’atteggiamento dei Casalesi virò e per imporsi sul territorio si ricorse all’uso sistematico della forza e, fattore determinante per la ramificazione del clan, iniziò l’infiltrazione in diversi settori dell’economia legale.

L’arresto di Sandokan, latitante

La fuga di Schiavone terminò nella notte del 22 maggio 1989 quando, al termine di un’indagine durata tre mesi, la squadra guidata dal Vicequestore di Caserta, Luigi De Stefano, arrestò il latitante a Millery vicino a Lione; all’operazione parteciparono anche agenti della Criminalpol, dell’Interpol e della polizia transalpina.

Schiavone finse di essere sorpreso ed esibì una carta d’identità falsa intestata a un certo Raffaele Arrichiello. Al momento del blitz era in compagnia di quattro presunti camorristi del casertano e di cinque contadini francesi: le indagini stabiliranno poi che i Casalesi avevano scelto il triangolo Nizza-Lione-Marsiglia per controllare il traffico di droga nel Mediterraneo.

Poche settimane più tardi il giudice istruttore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere chiese il rinvio a giudizio di 47 persone, tra cui Schiavone, accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e altri reati minori.

La scarcerazione per decorrenza dei termini

Qualche mese dopo, quando le procedure per l’estradizione non erano ancora pronte, la giustizia francese punì Schiavone con 10 mesi di reclusione per falsificazione di documenti; il giudice istruttore di Lione lo incriminò per associazione a delinquere, omicidio e occultamento di cadavere. Il 26 aprile 1990 per Schiavone e i sodali l’ufficio istruzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispose la scarcerazione per decorrenza termini e dopo due settimane tornarono in libertà.

Schiavone riprese il comando dei Casalesi anche se la gerarchia ormai era cambiata: dietro di lui c’erano il fidatissimo Francesco Bidognetti e Enzo De Falco, mentre Iovine si era trasferito provvisoriamente in Portogallo.

Per i gusti di Schiavone, De Falco si agitò eccessivamente nel tentativo di piazzare i suoi uomini nel Comune di Casal di Principe per controllare l’assegnazione di appalti pubblici.

L’arresto di Sandokan e Bidognetti

Il 13 dicembre De Falco fu invitato con l’inganno a un summit nella villa del Vicesindaco di Casal di Principe, Gaetano Corvino, ma, capendo che si trattava di una trappola, fece una soffiata ai Carabinieri che si presentarono e arrestarono, tra gli altri, Schiavone e Bidognetti con l’accusa di associazione a delinquere e detenzione e porto abusivo di armi mentre Mario Iovine e il politico riuscirono a scappare: si costituirà all’inizio dell’anno seguente.

Per ritorsione De Falco fu ucciso a colpi di mitra il 2 febbraio 1991 su ordine di Schiavone e Bidognetti a Casal di Principe. Per rappresaglia, gli uomini di De Falco il 6 marzo, in una cabina telefonica di Cascais, uccisero con 2 colpi di pistola Iovine. Ciò si rivelò tuttavia un favore verso Schiavone che con la morte di Iovine non ebbe più rivali che potessero rivendicare la leadership dei Casalesi.

L’annullamento della custodia cautelare e l’assoluzione

Nel frattempo la posizione di Schiavone si alleggerì perché la prima sezione della Corte di cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, annullò il provvedimento di custodia cautelare relativamente all’accusa di associazione camorristica per mancanza di prove mentre il boss doveva rimanere in carcere per detenzione abusiva di armi e spari in luogo pubblico.

Nel gennaio del 1992 la Corte di Appello di Napoli assolse Schiavone e Bidognetti dall’accusa di detenzione di armi relativa al blitz effettuato nella villa di Corvino perché gli altri arrestati si presero la responsabilità del possesso di armi. Il 15 aprile dello stesso anno Schiavone fu di nuovo arrestato per scontare un residuo di pena di tre mesi. Quando riprese il controllo dell’organizzazione, i proventi degli affari illeciti (droga, estorsioni, armi, traffico di rifiuti) e degli appalti pubblici in Lazio, Emilia-Romagna e Lombardia vennero investiti all’estero in particolare in Francia, Portogallo, Spagna e in Centro e Sud America.

La svolta con Carmine Schiavone, il cugino, che divenne collaboratore di giustizia

Nel 1993 però Carmine Schiavone, cugino di Francesco, decise di collaborare con la giustizia e di conseguenza la Magistratura sequestrò un numero considerevole di aziende, bar, ristoranti, lidi, cooperative agricole, società che producevano e vendevano calcestruzzo, appartamenti, auto e autocarri.

Dalle confessioni di Carmine Schiavone e di altri pentiti si arrivò all’operazione “Spartacus” nel dicembre del 1995 con 143 ordinanze di custodia cautelare e il sequestro di 105 ditte individuali, 137 società sequestrate, centinaia di immobili, aziende agricole, fabbricati, imbarcazioni e due società di calcio (Albanova in Serie C2 e Casale nei dilettanti) per un ammontare di quasi 1500 miliardi di lire; tra gli arrestati c’erano anche diversi amministratori locali, dirigenti di USL e imprenditori.

30 Marzo 2024
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