Milano
5:00 pm, 7 Ottobre 21 calendario

Bruciavano i rifiuti per risparmiare sullo smaltimento

Di: Redazione Metronews
condividi

«Mio marito V. B. e il B. confrontandosi tra loro sono giunti alla conclusione che l’unico rimedio per risolvere la situazione era quella di dare fuoco all’impianto». Lo ha raccontato l’ex moglie del titolare dell’azienda per il trattamento di rifiuti Eredi Bertè Antonino di Mortara, in provincia di Pavia, arrestato giovedì mattina con altre due persone per aver dato alle fiamme i 6 settembre 2017 oltre 17mila tonnellate di rifiuti pericolosi. Uno degli episodi più gravi in quella che è diventata la nuova Terra dei Fuochi, la Lombardia

Rifiuti pericolosi bruciati con un accendino

L’inchiesta ha portato all’arresto di tre persone, i due gestori dell’impianto  e un terzo uomo che sarebbe intervenuto per riciclare il denaro.  I reati sono  traffico illecito di rifiuti, incendio doloso, utilizzo ed emissione di fatture false, bancarotta fraudolenta, riciclaggio ed autoriciclaggio. B., amministratore di una società del gruppo Eredi Berté, «venne a casa nostra e disse in modo rassegnato che l’unico sistema di evitare la chiusura dell’impianto e il definitivo tracollo economico era quello di incendiare i rifiuti per ottenere un indennizzo assicurativo» ha spiegato la donna. Un indennizzo non solo per l’incendio ma anche per lo smaltimento dei rifiuti, che rappresentava «il costo maggiore. Parlavano di 800mila euro ma probabilmente era almeno il doppio». La donna riferisce che «insieme hanno quindi ideato e organizzato l’incendio». Sono a conoscenza dei fatti perché mi confidò il mio ex marito che fu proprio lui personalmente ad appiccare le fiamme con un accendino di colore nero». Il titolare dell’azienda finse anche un malore per evitare un controllo dell’Arpa.

L’azienda fallita

Oltre agli arresti, sono stati sequestrati circa 2 milioni di euro (tra cui disponibilità finanziarie, fabbricati, terreni ed autoveicoli) frutto dell’ingiusto profitto ottenuto attraverso il mancato pagamento delle spese di recupero e/o di smaltimento dei rifiuti ed il mancato versamento del “Tributo speciale regionale”.Le indagini seguite all’incendio hanno permesso di accertare innumerevoli illeciti, anche di natura ambientale. Nell’impianto di smaltimento, dopo aver ammassato indistintamente quintali di rifiuti pericolosi e non pericolosi, i gestori non avevano effettuato alcuna operazione di trattamento o recupero incamerando così i circa 2 milioni di euro.

Una volta accortisi che la conduzione dell’impianto era divenuta insostenibile a causa dell’enorme quantità di rifiuti stoccati, i due gestori hanno deciso coscientemente di dar fuoco al piazzale al solo scopo di ripulire, a costo zero, l’intera azienda di smaltimento, noncuranti dell’enorme danno per la salute della collettività. Dopo l’incendio l’azienda ha dichiarato fallimento e i due gestori si sono impegnati a far sparire l’enorme capitale illecitamente accumulato attraverso la creazione di numerose società intestate a meri prestanome.

Le minacce della ‘ndrangheta

Sarebbe coinvolto anche un presunto affiliato alla ‘ndrangheta che avrebbe minacciato la testimone, l’ ex moglie del titolare: «Stai zitta o ti faccio fuori», le avrebbe detto l’uomo, coinvolto nell’indagine Infinito come componente di una Locale della ‘ndrangheta”, secondo quanto si legge nel decreto firmato dal gip di Milano, Guido Salvini.

In 3 anni 53 roghi di rifiuti

7 Ottobre 2021
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo