MAFIA CAPITALE
11:17 pm, 13 Ottobre 16 calendario

Mafia Capitale, Carminati rompe il silenzio in aula

Di: Redazione Metronews
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ROMA Massimo Carminati ha rotto il silenzio e per la prima volta ha preso la parola nel processo Mafia Capitale. Una breve dichiarazione spontanea al termine dell’udienza di ieri, quasi uno sfogo, per rettificare le parole di uno dei testimoni. «Non so che importanza possa avere, ma tanto per mettere i puntini sulle i». Pochi minuti prima, Cristina Risa, responsabile del personale del gruppo Eriches, aveva ricordato le modalità con cui avvenne l’assunzione del “Nero” in una delle coop di Salvatore Buzzi nel novembre 2014. «Ci fu detto di assumerlo, non fece nessun colloquio».
Invece per Carminati, quel colloquio ci fu, proprio come per un normale lavoratore. «L’ho fatto con la signora Elvira e mi sembra che ad un tavolo vicino fosse presente anche lei», ha affermato Carminati intervenendo in videoconferenza. Anche se la Risa ha ribadito di non ricordare: «Ho iniziato a vedere Carminati negli uffici di via Pomona da metà 2013. Stava spesso seduto sulla panchina davanti al distributore automatico. Ho saputo chi fosse solo il giorno in cui venne all’ufficio del personale per firmare il contratto con la coop 29 giugno Onlus. Si sarebbe dovuto occupare della ricerca commerciale».
Chiamata nell’aula bunker di Rebibbia in veste di testimone dai legali di Michele Nacamulli, Cristina Risa ha poi ricostruito i criteri con cui avvenivano le assunzioni dei lavoratori, spesso accogliendo richieste esterne. «Arrivavano tantissime segnalazioni, c’erano anche molti politici che segnalavano. Non erano politici famosissimi, non si conoscevano tanto. Ricordo di sicuro l’onorevole Quarzo (Giovanni, ex consigliere comunale Pdl) e poi – ha aggiunto in un secondo momento – Micaela Campana (parlamentare Pd), che segnalò due persone. Ricordo anche Marroni. Non Umberto (parlamentare Pd), ma Angiolo (ex garante dei detenuti e padre di Umberto ndr)».
Prima di essere assunto, ogni candidato doveva compilare una scheda, in cui era presente una voce precisa in cui andava specificato da chi provenisse la raccomandazione. Il perché lo ha spiegato lo stesso Salvatore Buzzi, il quale, al termine dell’udienza, ha preso la parola dal carcere di Tolmezzo, dove è recluso. «Sulla scheda mettevamo tassativamente il nome del proponente per evitare che entrassero persone segnalate che nessuno conosceva. In un gruppo con 1200 dipendenti – ha concluso Buzzi – dovevamo sapere chi avevamo dentro casa».
MARCO CARTA

13 Ottobre 2016
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