La strategia è fingersi vivi
Dopo Parigi, qualcosa è cambiato. Per sempre. Nelle nostre vite fragili e fugaci, nella nostra percezione della realtà, nel nostro rapporto con la sicurezza. Eppure la parola d’ordine è “fingere”. Fingere di essere normali, fingere che la vita vada avanti come se niente fosse, fingere di non essere parte di una guerra mediatica, politica, economica, parzialmente religiosa e abbastanza virtuale che potrebbe presentarci il conto in qualunque momento, in qualunque posto: al bar, a teatro, in metropolitana. E probabilmente saremo costretti a fingere anche quando sceglieremo la meta della prossima vacanza o il prossimo concerto. Ma siccome stiamo fingendo, dovremo fingere fino in fondo: viaggiando, uscendo, forzandoci di sembrare fottutamente normali. È l’amore per la vita ai tempi del terrorismo. E siccome vivere da morti è un paradosso, i fatti ci hanno messo di fronte a una scelta: continuare a riempire la vita di vita come se niente fosse o farci paralizzare dalla paura? Per uscire dal dilemma potremmo cercare conforto nelle parole di Paolo Borsellino, uno che con la precarietà della propria esistenza era, suo malgrado, costretto a conviverci costantemente: “chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
Certo, Borsellino era un eroe pronto a sacrificarsi per la verità, mentre noi siamo un gregge senza pastori che la “verità” è abituato a farsela imboccare il pomeriggio da Barbara d’Urso. Ciononostante abbiamo il dovere morale di fare l’unica scelta possibile: di non cambiare le nostre abitudini, per cambiare la strategia dei nostri nemici invisibili. Il terrorismo è finalizzato, non solo per questioni etimologiche, a farci vivere nel terrore. Lo scopo dei terroristi è quello di spaventarci, al di là delle singole stragi. Non farci terrorizzare deve essere la nostra contromossa. Ecco perché va ribaltata una delle più celebri tattiche di sempre: è inutile fingersi morti. L’unica strategia vincente è fingersi vivi.
MATTEO GRANDI
giornalista e blogger
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