#laverascuola
4:56 pm, 10 Aprile 15 calendario

Diciamo un secco no a una scuola di indifferenti

Di: Redazione Metronews
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Se uno stato, malgrado i richiami che arrivano dal 1984, arriva a torturare dei ragazzi, poco più grandi dei nostri alunni, in una scuola e avviene la “più grave sospensione dei diritti umani in un paese democratico occidentale dalla fine della II Guerra Mondiale” (Amnesty International), qualche domanda ce la dobbiamo fare tutti. Se questi ragazzi, provenienti da tutto il mondo, vengono torturati perché esercitano la loro capacità critica, magari a sproposito, noi insegnanti che cosa ne dobbiamo dedurre? E se ciò avviene nella gran parte dei casi nella non curanza della gente? Cosa dobbiamo pensare noi? Che responsabilità abbiamo noi?
L’ignoranza non è un diritto. Come insegnante non me ne frega nulla di far venire su un ottimo cuoco, se questi non sarà anche un ottimo cittadino. Non si va a scuola per imparare un lavoro, o almeno, non solo o soprattutto per questo. Si va a scuola per imparare ad essere cittadini, per sviluppare le proprie competenze, non solo le proprie abilità, che anzi serviranno per lo sviluppo delle proprie competenze (Quadro Europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF)). Ma le competenze cosa sono? Lo stesso documento le definisce come “comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.”
Più in generale competenza vuol dire saper essere qualcosa che vada oltre l’essere un lavoratore/consumatore. Competenza vuol dire saper essere cittadini, uomini. Per questo noi non addestriamo scimmiette, formiamo uomini, che non si potranno esimere dall’assumersi responsabilità. Se non abbiamo un’idea forte di scuola non trasmetteremo un’idea forte di società, del senso e del modo per cui stiamo assieme come comunità. E non si vive solo per produrre, né per realizzarsi solamente come individui. Come diceva Aristotele, nessun uomo è un’isola. Ai tempi dell’Atene di Pericle, lo statista, nel suo Epitafio ai caduti della Guerra  del Peloponneso, poteva dire che “l’uomo che non si occupa della comunità non innocuo, è inutile”.  Vero è che la scuola non è la vita, ma è anche a scuola che si impara la vita, ed è a scuola e attraverso la scuola che decidiamo cosa saranno i ragazzi di domani, vittime o carnefici, o semplicemente degli indifferenti, come quelli di Moravia.
SEBASTIANO CUFFARI

10 Aprile 2015
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