6:00 am, 18 Luglio 14 calendario

Vivere sotto attacco in Israele Eilat

Di: Redazione Metronews
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Israele. Davide Risi ha 44 anni, è di Torino e ha sposato un’israeliana. Esperto di sicurezza informatica (con un passato lavorativo anche a Metro), da due anni e mezzo vive a Eilat, estremità sud di Israele, celebre località turistica sul golfo di Aqba, Mar Rosso. Già, il turismo. Qualche razzo palestinese è arrivato anche lì (vedi foto). «Siamo in altissima stagione, ma il turismo qui è azzerato», dice Risi.
Com’è la vita in Israele? «Da quando senti le sirene hai 15 secondi (qui a Eilat 45) per 1) correre nel bunker o nella safe room; 2) se sei in macchina, fermarti e sdraiarti a terra; 3) se stai camminando, andare lontano dagli edifici e sdraiarti a terra; 4) attendere il boom, perché non basta che smettano le sirene, non sai se il sistema antimissile Kippat Barzel (kippa d’acciaio) ha inter
ettato o no. Immaginati cosa vuol dire vivere ad Ashkelon, a 30 km da Gaza». La tecnologia militare aiuta, «altrimenti sarebbe un massacro», e non solo quella: «C’è un’applicazione per iPhone, si chiama Red Alert: ti segnala in tempo reale la traiettoria dei missili palestinesi». C’è perfino una app «che ti geotagga: ha avuto un boom dopo il sequestro dei tre ragazzi ebrei».
A Gaza è un macello, ma anche la vita degli israeliani è stravolta. «Chi fa in auto la strada 40, vicina al confine egiziano, va piano, fa attenzione a che non spunti qualcosa dalla sabbia. Anche per strada  studi chi ti sta vicino. Un modo di vivere distorto». La cosa che irrita Risi è la rappresentazione che del conflitto fanno i media occidentali: «Israeliani cattivi da una parte e palestinesi buoni e vittime dall’altra. La realtà è più complessa. La popolazione araba e musulmana, quella che vive in Israele, integratissima, maledice Hamas. E i palestinesi della Striscia sono terrorizzati. Esitano a biasimare i terroristi, a condannare apertamente l’inutile e tragica provocazione del continuo lancio di missili su Israele, perché sennò li fanno fuori». Aneddoto: «Giorni fa ero a Be’er Sheva, ho dormito in albergo con mia moglie. Siamo andati a letto e un’ora dopo suona la sirena. Corri nel bunker, aspetti le esplosioni e torni su. Dopo 10 minuti suonano ancora le sirene e torni nel bunker… La stanza a fianco alla mia era occupata da arabi. Capivo perfettamente tutte le bestemmie che hanno tirato contro Hamas». L’opinione pubblica israeliana, secondo Risi, «non chiede al governo una tregua, ma una soluzione radicale». La guerra continua, «ma la vera guerra dovranno combatterla i palestinesi al loro interno, se vogliono avere la pace».
(Sergio Rizza)

18 Luglio 2014
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