
Era il dicembre 2000. Non avevo ancora presente quanto fosse corta la memoria del mio Paese. Erano i giorni dell'uranio impoverito. Anche un raffreddore diventava un sintomo e i nostri militari erano gracilissimi, a leggere i giornali. Non si parlava d'altro e scoppiò il caso, come si dice in gergo. Spuntavano esperti su ogni colonna di giornale. Ma i giornalisti preparati, o soltanto curiosi e indipendenti erano pochi. Eravamo pochi. Fu la mia prima inchiesta a Metro. Me ne innamorai. Forse perchè i miei cugini erano in Bosnia e Kosovo, da militari. Forse perchè la maggior parte dei soldati ammalati erano del Sud. Andai a trovare Valery Melis in ospedale a Milano, e Luca Sepe era mio amico. Cose così. Fatte anche di sorrisi, abbracci e incoraggiamenti. E tanti,troppo funerali. La scienza aveva risposte confuse. E molti di noi confondevamo la radioattività dell'uranio con la sua tossicità chimica. Bisognava diventare esperti di fisica e di chimica e bisognava fare presto. C'erano tante mamme vestite a lutto, e giovani vedove con i sogni a metà.
La politica aveva davanti a sè delle scelte: poteva cercare di capire, informarsi, prendere delle decisioni.
Poteva assistere i ragazzi ammalati, pur negando che ci fosse un problema.
Poteva chiedere conto alla Nato, vedere cosa stava succedendo nel resto del mondo.
Mattarella era ministro della Difesa: scelse la strada più meschina. Alle Camere regalò, qualche giorno prima di Natale, un discorso pieno di "non so". L'uranio fa male? Non so, non sappiamo. C'è uranio nelle bombe sganciate in Bosnia? Non so, forse sì. Ma la Nato non ci ha informati.
La Nato, tanto per dire, qualche ora dopo smentì lo stesso ministro: ve l'abbiamo detto ufficialmente che su quegli aerei c'era uranio e che lo abbiamo sganciato nei Balcani, e in Iraq (e in Somalia, si scoprirà). C'è un'Ansa a dimostrarlo.
Mattarella non si arrese nel suo tentativo di "far passare la nottata": organizzò un volo per giornalisti, e c'ero anche io, all'epoca giovane cronista di Metro.
Andammo a Sarajevo dove giovani soldati ci raccontavano di quanto alla caserma Tito Barrak si stesse bene. L'uranio? Non abbiamo paura, ripetevano a memoria. Salvo poi darti i numeri di telefono quando il generale si spostava più in là. Con alcuni di loro sono rimasta in contatto. Sono una fonte preziosa.
Nel frattempo Mattarella istituì la Commissione Mandelli per "trovare la verità". In pochi mesi avrebbe dovuto realizzare un'indagine epidemiologica per cercare il nesso tra uranio e malattie. Ma Mandelli - che non mi spiegherò mai perchè accettò quell'incarico - aveva numeri sbagliati e quella Commissione non poteva funzionare. Scrisse nella relazione finale che non aveva avuto gli strumenti per indagare ma questo, nella superficialità delle notizie stampa fu tradotto semplicisticamente "Nessun nesso".
E qualche stupido che fa finta di avere la memoria corta, ancora oggi assolve l'inquinamento bellico perchè Mandelli non trovò il nesso.
La sensazione che ho avuto è che Mattarella ha sempre cercato di coprire (forse perchè malconsigliato dai generali? O dai vertici politici internazionali?), anche se non c'è stato mai un processo nè tantomeno una condanna. Poco dopo, nel 2001, il suo mandato finì, ma sulla vicenda uranio i tribunali si sono espressi: ci sono almeno 20 sentenze di condanna allo Stato italiano a risarcire i soldati. La scienza internazionale ha le prove del nesso tra le bombe e le malattie.
Mattarella non solo ha subito negato l'esistenza di un qualche problema, non ha mai dimostrato di voler capire o fare chiarezza. E così facendo di conseguenza non ha protetto i suoi soldati e non ha cercato la verità. Più di 300 soldati sono morti per la sindrome bellica, dal 1999 a oggi. Migliaia sono gli ammalati.
Se Mattarella dovesse diventare presidente, come capo delle Forze Armate dovrebbe chiedere scusa ai suoi soldati e alle loro famiglie.