Pfas: “La messa al bando totale non è giustificata: regolamentiamo”

PFAS: quali conseguenze potrebbero esserci per l’economia, l’industria, l’ambiente – ed in definitiva per la vita di tutti – dalla proposta dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di vietare oltre 12.000 sostanze per- e poli-fluoroalchiliche (PFAS)?
PFAS, avviata la procedura per la messo al bando di queste sostanze chimiche: ma non tutto è come sembra
Il tema di fondo è che, sebbene alcuni PFAS siano riconosciuti per essere dannosi per la salute, paradossalmente un divieto generale potrebbe portare a problemi nel tentativo di sostituire completamente questi materiali a base di PFAS oggi in commercio e impiegati in tante lavorazioni, dalle padelle antiaderenti ai cosmetici, dai dispositivi medici ai computer. I materiali alternativi potrebbero infatti essere, potenzialmente, meno sicuri, oltre che meno performanti.
Ne parliamo con Tommaso Dragani, già direttore della struttura di ricerca “Epidemiologia Genetica e Farmacogenomica” dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano ed oggi direttore scientifico e fondatore di Aspidia (www.aspidia.com).
Come spiegherebbe ad un non addetto ai lavori cosa sono i PFAS?
I PFAS sono composti chimici di origine antropica che hanno trovato applicazione nell’industria e nei prodotti di consumo fin dagli anni ’40. Questi composti sono caratterizzati da una presenza significativa di atomi di fluoro, conferendo loro una notevole stabilità e resistenza. A causa del loro diffuso utilizzo e della loro persistenza nell’ambiente, diversi PFAS sono stati rilevati nel sangue di persone e animali in tutto il mondo.
È importante notare, però, che esistono differenze significative all’interno di questa vasta classe di composti. Ad esempio, i fluoropolimeri, anche se rientrano nella definizione di nomenclatura PFAS, differiscono notevolmente dai PFAS considerati dannosi. I fluoropolimeri sono molecole di dimensioni considerevoli che non sono solubili in acqua e non vengono assorbite dall’organismo se ingerite.
Di conseguenza, essi non presentano rischi per la salute umana. È fondamentale distinguere tra i diversi tipi di PFAS per una gestione accurata di questa classe di sostanze chimiche. PFAS, infatti, è un termine chimico che raggruppa numerose strutture sotto un unico acronimo. Per illustrare una distinzione più chiara tra fluoropolimeri e PFOA, consideriamo la differenza tra un contenitore di plastica (polimero) contenente sapone liquido e il sapone liquido stesso (tensioattivo). Questa analogia illustra il concetto di distinzione dei fluoropolimeri dal PFOA.

Quale è stata, secondo lei, la ratio che ha mosso soprattutto Danimarca, Germania, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia e l’Agenzia Europea per le sostanze chimiche, l’ECHA, in questa scelta netta di regolamentazione? Di queste 12mila sostanze che si vorrebbero vietare, quante sono effettivamente dannose?
Come ho descritto nella mia recente pubblicazione sull’argomento (disponibile qui, ndr), ritengo che un divieto totale su un’intera classe chimica, particolarmente eterogenea, non sia giustificato. Questa classe è composta da una vasta gamma di sostanze, ciascuna con caratteristiche distinte. Tra queste sostanze, solo poche sono state dimostrate dannose per la salute umana e l’ambiente, principalmente il PFOA e il PFOS. Va notato che entrambe queste sostanze non sono più in uso, principalmente a causa delle evidenze che le collegano a vari effetti avversi, tra cui il rischio di cancro.
Perché secondo lei potrebbe essere un errore se si procedesse con una regolamentazione in questo senso così massivo? Lei come consiglierebbe di normare l’uso dei PFAS?
Nella mia visione, come ho dettagliato nella mia pubblicazione scientifica, ritengo che sia essenziale adottare un approccio di regolamentazione sostanza per sostanza, basato sui dati tossicologici disponibili. Solo attraverso questo metodo, possiamo efficacemente eliminare l’esposizione umana alle sostanze nocive e potenzialmente dannose per la salute, mentre preserviamo l’accesso a quelle sostanze che dimostrano di non comportare rischi per la salute.
In particolare, è fondamentale riconoscere che i fluoropolimeri rappresentano un gruppo di sostanze che non costituiscono una minaccia per la salute umana. Questi materiali sono fondamentali per una serie di applicazioni, tra cui i prodotti destinati alla transizione energetica, varie apparecchiature e persino dispositivi medici. Pertanto, è cruciale adottare un approccio ragionato alla regolamentazione delle sostanze, tenendo conto delle loro specifiche proprietà e degli impatti sulla salute, al fine di garantire una gestione equilibrata di tali risorse.
Un dato tuttavia colpisce. Secondo stime allegate alla proposta, circa 4,4 milioni di tonnellate di PFAS finirebbero nell’ambiente nei prossimi 30 anni, se non si fa qualcosa adesso. Perché non ce ne siamo accorti in questi anni?
Le industrie si stanno già orientando per eliminare l’utilizzo dei tensioattivi fluorurati nella sintesi dei fluoropolimeri. In ogni caso, ritengo che la riduzione del rilascio di PFAS nell’ambiente nei prossimi 30 anni richieda l’adozione di approcci innovativi per il loro smaltimento.
In particolare, con la mia startup, Aspidia, in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca e l’Università di Torino, abbiamo sviluppato un progetto di ricerca prontamente attuabile. Questo progetto mira a introdurre nuovi metodi di biorisanamento dei PFAS basati sull’impiego di enzimi batterici, evitando l’uso di trattamenti chimici o il ricorso all’incenerimento. Questo approccio innovativo si caratterizza per la sua economicità e il rispetto per l’ambiente.
Attualmente, stiamo cercando finanziamenti per dare avvio al progetto. Nonostante il budget iniziale necessario sia di circa 150.000 euro, finora non siamo riusciti a reperire i fondi necessari. La nostra iniziativa rappresenta un passo significativo verso soluzioni sostenibili per il problema dei PFAS, e speriamo di trovare il supporto finanziario necessario per avviare questa importante iniziativa di ricerca.

Come si stanno regolando oggi su questo tema gli Usa?
Negli Stati Uniti, il problema dei PFAS è estremamente significativo e ha scatenato numerose controversie legali. Uno dei punti di origine dell’inquinamento da PFAS si riscontra negli aeroporti, dove tali sostanze vengono utilizzate nelle schiume antincendio. In Italia, al contrario, la situazione relativa ai PFAS non è altrettanto conosciuta, motivo per cui è essenziale condurre analisi precise per valutarne la presenza e gli effetti.
I PFAS a catena corta di vecchia generazione (PFOA, PFOS) rappresentano una minaccia per la salute umana e l’ecosistema, suscitando preoccupazione tanto negli Stati Uniti quanto in altre parti del mondo. Gli Stati Uniti stanno attivamente cercando di ridurre le concentrazioni di PFAS nelle acque potabili e nei fiumi. L’Agenzia di Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti (EPA) sta monitorando attentamente la situazione e ha proposto limiti estremamente bassi per la presenza di PFAS nell’acqua.
Inoltre, il governo degli Stati Uniti ha stanziato 2 miliardi di dollari per affrontare l’inquinamento da PFAS e altre sostanze nelle risorse idriche. Questa iniziativa rappresenta un notevole impegno verso la mitigazione degli impatti causati da queste sostanze chimiche inquinanti.
La natura della proposta in questione sarebbe però quella di obbligare le aziende a cercare alternative ai PFAS, a partire dal 2026-27. Ne abbiamo già disponibili?
Alcuni PFAS, specialmente quelli impiegati come tensioattivi o additivi nei processi industriali di polimerizzazione per la produzione dei fluoropolimeri, possono essere sostituiti con relativa facilità. È incoraggiante notare che diverse industrie stanno già lavorando per identificare sostituti privi di fluoro o tecnologie alternative che non utilizzano tensioattivo, pur mantenendo l’efficienza desiderata.
Tuttavia, va sottolineato che per altri PFAS la situazione è più complessa. In particolare, i fluoropolimeri rappresentano una categoria di sostanze per le quali, al momento, non esistono alternative altrettanto performanti che possano essere utilizzate in una vasta gamma di applicazioni, tra cui motori, batterie, celle a flusso, celle fotovoltaiche, guarnizioni, tubi e così via. Questi materiali sono cruciali per settori quali la transizione energetica, l’industria automobilistica, quella farmaceutica e aerospaziale. Pertanto, la ricerca di soluzioni sostenibili per sostituire tali PFAS rappresenta una sfida significativa e in corso di sviluppo.
A.B.
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