Teatro Milano
12:37 pm, 20 Maggio 23 calendario

Il Teatro Patologico porta Medea al Franco Parenti

Di: Patrizia Pertuso
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TEATRO Il Teatro Patologico di Dario D’Ambrosi arriva per la prima volta a Milano portando in scena una spettacolo che ha fatto il giro dei quattro continenti, Medea di Euripide, nell’adattamento e regia dello stesso D’Ambrosi. Con lui, dal 23 al 25 maggio, sul palco del Teatro Franco Parenti, saliranno i “suoi ragazzi” – come li chiama il regista stesso – accanto a attori professionisti: Almerica Schiavo sarà Medea, Paolo Vaselli interpreterà Giasone, Marina Starace ricoprirà il ruolo di Glauce mentre Dario D’Ambrosi vestirà i panni di Creonte.

Il coro, diretto da Francesco Crudele (in arte Papaceccio), sarà composto da Nicolò Fronticelli BaldelliPaolo Giliberti, Silvia Sorcini, Cristiana Saporetti, Andrea Scrimieri e Fabia Carbone.

L’alternanza tra il greco antico e l’italiano

Sulle musiche originali firmate da Francesco Santalucia e suonate dal vivo, il coro scandirà i momenti della narrazione facendo ricorso all’uso del greco antico, risultato di un attento lavoro di studio e consulenze filologiche. Le parti in italiano diverranno, così, una sorta di contrappunto vocale che accompagnerà i diversi stati emotivi che si intrecciano nella vicenda: quando gli attori faranno ricorso al greco antico, la parte musicale si fonderà in quella lingua, lingua assumendo anch’essa un ruolo da protagonista. Quando, invece, parleranno in italiano, la musica si spengerà nel silenzio per offrire “un’altra” musicalità a suggestioni più dirette nei monologhi di Medea e negli scambi di battute tra i personaggi in scena.

Il training del Teatro Patologico punta sul corpo

Il lavoro di D’Ambrosi parte da un training in cui il corpo e il suo uso sono fondamentali. Che “il corpo non menta” all’interno di un processo comunicativo è un assunto condiviso da molti: Sigmund Freud sostenne che attraverso ogni singolo poro della pelle si riesca ad esprimere ciò che la bocca non riesce a proferire; l’antropologo statunitense Edward Twitchell Hall ha rivolto gran parte dei suoi studi a quello che lui stesso ha definito “il linguaggio silenzioso”; lo psicologo statunitense Albert Mehrabian afferma con forza la preponderanza della comunicazione non verbale (quella cioè che si mette in atto attraverso l’esclusivo uso del corpo) e para verbale (quella che riguarda l’uso della voce, intesa come suono) rispetto alle parole in un qualsiasi scambio comunicativo.

L’importanza della comunicazione non verbale

Citare tutti coloro che si sono occupati di cinesica, lo studio della comunicazione non verbale, appunto, e di prossemica, la disciplina semiologica che si interessa dei gesti, del comportamento, dello spazio e delle distanze all’interno di una rapporto comunicativo sia verbale che, soprattutto, non verbale, è impossibile.

In teatro, un luogo in cui per definizione la presenza viva del corpo è l’elemento che lo caratterizza, si sono susseguiti numerosi lavori e studi che hanno condotto registi ad elaborare teorie comunicative che esulano non dal linguaggio – inteso come suono, come vocalità, come phoné -, ma dall’uso delle parole.

Con D’Ambrosi i corpi diventano emozioni

Il lavoro di Dario D’Ambrosi si inserisce in questo filone assumendo però un’altra connotazione: i “suoi ragazzi”, gli attori con i quali lavora ormai da 40 anni, sono disabili fisici e psichici. Sono persone che non si nascondono dietro il vetro opaco di parole codificate, imparate a memoria e ri-citate in scena: sono attori che vivono e traspongono sul loro corpo quei termini, tingendoli delle sincere tinte delle emozioni.

La storia di Medea

La storia di Medea è nota a tutti. Portata in scena chissà quante volte, racconta le gesta di una donna, moglie di Giasone, che si è trasferita con la sua famiglia a Corinto: ha abbandonato il padre per seguire, insieme ai due figli, il suo amore. Ma Giasone decide  di ripudiarla per sposare Glauce, la figlia del re di Corinto: in questo modo, l’uomo si assicura il diritto di successione al trono. Medea attua la sua vendetta: manda una veste avvelenata a Glauce che, una volta indossata, muore bruciata viva. La stessa sorte tocca a Creonte che cerca di aiutarla. Poi, l’ira della donna si accanisce contro i suoi due figli: piuttosto che lasciarli a Giasone, che attraverso loro si sarebbe assicurato almeno la discendenza, li uccide.

Mettere in scena una tragedia greca andata in scena per la prima volta ad Atene, nel corso delle Grandi Dionisie del 431 a.C, è un lavoro arduo: riuscire a comprendere l’importanza di una scelta che porta un personaggio come Medea ad abbandonare il padre e a privare Giasone di una discendenza risulta difficile se non viene inserita in un contesto culturale ormai così distante dal nostro.

La Medea del Teatro Patologico

Eppure il Teatro Patologico di D’Ambrosi riesce a far sentire la tragicità di quella storia, la drammaticità di una narrazione scritta sui corpi, che prende vita proprio grazie a quel pathos che è, paradossalmente, sia la capacità di suscitare un’intensa emozione e una totale partecipazione sul piano estetico o affettivo che qualcosa che ha a che fare con la malattia. Il confine tra pathos e patologico non è mai stato così labile così come in questa Medea. Che più che uno spettacolo teatrale diventa un’esperienza da vivere. Con il corpo, non con la mente.

PATRIZIA PERTUSO

 

 

20 Maggio 2023
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