beni culturali
12:09 pm, 26 Marzo 23 calendario

Il salvataggio dei capolavori dai nazisti e dalle bombe

Di: Lorenzo Grassi
salvataggio dei capolavori
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Il duplice e rocambolesco salvataggio dei capolavori artistici italiani, durante la Seconda guerra mondiale, prima dalle razzie naziste e poi dai bombardamenti degli Alleati. Un’epopea poco conosciuta, che è ricostruita e illustrata nella mostra “Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra”, prorogata sino al 10 aprile alle Scuderie del Quirinale a Roma. Un allestimento curato da Luigi Gallo e Raffaella Morselli ed organizzato dalle stesse Scuderie in collaborazione con la Galleria nazionale delle Marche, l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione e l’Archivio Luce-Cinecittà. L’eroica storia di coraggiosi uomini e donne che – con professionalità, senza armi e con mezzi di fortuna – presero coscienza della minaccia che incombeva sui beni culturali italiani e misero in gioco persino le proprie vite per sventarla, consapevoli del valore educativo, identitario e comunitario dell’arte, oltre che del suo essere patrimonio universale.

Il Discobolo Lancellotti preteso da Hitler.

Il salvataggio dei capolavori

Della selezione di oltre cento capolavori salvati durante la Seconda guerra mondiale, ad accogliere i visitatori è il noto Discobolo Lancellotti, una fedele e ben eseguita copia romana in marmo, ascrivibile alla metà del II sec. d.C., di una delle opere più ammirate dell’antichità: ovvero il Discobolo in bronzo dello scultore greco Mirone (ca. 450 a.C.). Scoperto nel 1781 a Roma, sull’Esquilino, il Discobolo Lancellotti restò per lungo tempo nella collezione privata dell’omonima famiglia nobile. Nel 1938, però, questa prestigiosa opera fu artatamente acquistata da Hitler, che l’aveva ammirata durante il suo viaggio in Italia. La vendita (per 5 milioni di lire) avvenne grazie ad una forzatura di Mussolini, nonostante la notifica di interesse pubblico e contro il parere del ministro Bottai. Il Discobolo divenne così, suo malgrado, uno dei simboli della propaganda nazista per magnificare l’ideale “ariano”. La scultura rimase in Germania sino alla fine della guerra, quando Rodolfo Siviero – uno dei personaggi approfonditi nella mostra alle Scuderie – convinse il Governo militare Alleato che l’opera era stata acquisita forzando le leggi di vincolo. Così il 16 novembre 1948 il Discobolo Lancellotti ripartì per Roma e oggi è normalmente esposto al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo.

Hitler, Göring e il cerbiatto di Ercolano.

La lista di Göring

Quella statua era al primo posto nella lista scritta – la “lista della spesa” affidata all’esecutore Hermann Göring – di opere d’arte italiane che il dittatore tedesco pretendeva di acquisire. Tra queste anche il cerbiatto di bronzo del I secolo dalla villa dei Papiri di Ercolano, esposto in mostra. Un arraffamento che si sarebbe presto tramutato in spoliazione sistematica e vera e propria razzia. Un’affermazione di violenta sopraffazione e, allo stesso tempo, un goffo tentativo di appropriarsi e di rubare un po’ di anima del Bel Paese. Hitler era poi attratto dalle teorie esoteriche, condivise con Himmler e altri gerarchi nazisti, e con nuclei speciali delle SS andava a caccia di oggetti mitologici. Così il bunker di Göring nella zona di Wemholz, a Berchtesgaden in Germania, si andò stipando di capolavori trafugati di ogni tipo ed epoca: arazzi, quadri, trittici, statue e libri.

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Soprintendenti e funzionari eroi

Soprattutto dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’inizio della feroce occupazione nazista, l’azione lungimirante di tanti Soprintendenti e funzionari dell’Amministrazione delle Belle Arti – spesso messi forzatamente a riposo dopo aver rifiutato di aderire alla Repubblica fascista di Salò – coadiuvati da storici dell’arte e rappresentanti delle gerarchie vaticane, si resero protagonisti di una grande impresa di occultamento e messa in sicurezza del patrimonio artistico-culturale. Fra i nomi – particolare sensibilità e lungimiranza fu mostrata dalle donne – spiccano quelli di Giulio Carlo Argan (che poi dal 1976 al 1979 sarà Sindaco di Roma), Palma Bucarelli, Emilio Lavagnino, Vincenzo Moschini, Pasquale Rotondi, Fernanda Wittgens, Noemi Gabrielli, Aldo de Rinaldis, Bruno Molajoli, Francesco Arcangeli, Jole Bovio e Rodolfo Siviero, controverso agente segreto e futuro ministro plenipotenziario incaricato delle restituzioni.

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Trasporti rocamboleschi

Con perigliosi e rocamboleschi trasporti a luci spente di notte, spesso e volentieri a proprie spese e con mezzi di fortuna (persino in bicicletta, come il soprintendente di Modena, Pietro Zampetti) riuscirono a sottrarre dalle grinfie dei nazisti – dentro casse di legno con la scritta “fragile” e in fantasiosi nascondigli – opere dal valore incommensurabile: dai reperti più antichi agli spartiti di Rossini, dagli arazzi fiamminghi ai capolavori della pittura del Cinquecento e del Seicento. Un approfondimento è dedicato anche all’astuto salvataggio degli arredi e dei testi sacri della Comunità ebraica di Roma avvenuto il 27 novembre 1943, poco più di un mese dopo la razzia del Ghetto.

Pio XI e la sua frase sul “Cupolone”.

La protezione dalle bombe

La mostra alle Scuderie racconta anche la faticosa opera di recupero e rientro dei beni trafugati dopo la fine del conflitto e, soprattutto, l’altro volto della guerra: i bombardamenti. Il Papa e i romani erano convinti, ad esempio, che sarebbe bastata la sola presenza del Cupolone e del Colosseo a difendere Roma. Così non fu e tante città d’arte italiane subirono pesanti danni in conseguenza dei bombardamenti a tappeto degli Alleati (basti il ricordo dell’Abbazia di Montecassino rasa completamente al suolo). Anche qui fu una corsa contro il tempo per proteggere i monumenti più esposti alla bell’e meglio e portare al riparo le opere d’arte che si potevano traslocare. Tra i documenti visibili alle Scuderie, lo “scudo di carta” delle circolari della Direzione Generale del Ministero dell’Educazione Nazionale che già dal settembre del 1939 aveva prospettato – qualora l’Italia fosse entrata in guerra – la costruzione ad Urbino di un «grande ricovero di opere d’arte raggruppate da ogni parte del territorio nazionale». Ma l’impreparazione prevalse su tutto. È curioso notare invece come un simile “deposito bunker” per i beni culturali sia stato realizzato su impulso del Ministero della Cultura proprio in Umbria nel 2008 per immagazzinare le opere d’arte salvate in occasione di eventi sismici.

L’Abbazia di Montecassino bombardata.

Dai Monuments Men ai Caschi blu della Cultura

Il capitolo finale dell’allestimento illustra la faticosa opera dei “Monuments Men” dell’esercito Alleato, incaricati di limitare i danni bellici alle opere artistiche durante l’avanzata in Italia. Purtroppo furono lasciati senza mezzi, personale e potere di intervento adeguati. Solo nell’ultima parte della guerra riuscirono con maggiore efficacia ad attuare importanti azioni di salvaguardia in prima linea. Infine l’attualità, con l’istituzione nel 1969 del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che sino ad oggi ha recuperato più di tre milioni di beni culturali e sequestrato 1,3 milioni di opere d’arte contraffatte. Il Comando funge da polo informativo e di analisi nel settore per tutte le forze armate e gestisce la più grande banca dati al mondo dei beni culturali sottratti illecitamente (1,3 milioni di files). Tutti «attivamente ricercati».

I “Caschi blu della Cultura” a Bitti nel 2020.

Il salvataggio dei capolavori in futuro

Con la sottoscrizione del “Memorandum of Understanding”, avvenuta a Roma il 16 febbraio 2016, l’Italia è stato il primo Paese ad istituire e mettere a disposizione dell’Unesco una task force di “Caschi blu della Cultura”, che è già stata impiegata – in situazioni di conflitto ma non solo – sia sul territorio nazionale che all’estero: dal Kosovo all’Iraq, dalla Palestina a Cuba, dall’Albania al Perù. È la nuova frontiera dell’arte ancora da salvare e “da liberare” (come dimostrano le ultime razzie russe in Ucraina). Ma ora anche da proteggere dai cambiamenti climatici. Uno degli ultimi interventi dei “Caschi blu della Cultura”, infatti, è stato quello effettuato nel 2020 per mettere in sicurezza le testimonianze artistiche, storiche e archivistiche del Comune di Bitti, in provincia di Cagliari, devastato e sommerso da un violento nubifragio.

26 Marzo 2023 ( modificato il 27 Marzo 2023 | 14:51 )
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