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4:51 pm, 20 Marzo 23 calendario

L’Accademia della Crusca boccia asterisco e schwa

Di: Redazione Metronews
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L’Accademia della Crusca risponde ad un quesito posto dalla Cassazione sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari ed esclude «tassativamente» l’utilizzo dei «segni eterodossi» – come asterisco e schwa (ǝ) – «al posto delle desinenze dotate di valore morfologico». «La lingua giuridica – si legge nel parere – non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto». Replicando ad un quesito posto dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, l’autorevole istituzione linguistica invita anche ad «evitare le reduplicazioni retoriche» (“lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate” e simili). No anche all’uso dell’articolo con i cognomi di donne (“la Meloni”) e «conservazione del maschile non marcato per indicare le cariche, quando non siano connesse al nome di chi le ricopre».

Volgere professioni al femminile

La massima istituzione linguistica italiana, presieduta dal professore Claudio Marazzini, invita i giudici a fare invece «uso largo e senza esitazioni dei nomi di cariche e professioni volte al femminile». Pertanto, in base all’applicazione delle normali regole di grammatica i nomi terminanti al maschile in -o hanno il femminile in -a: magistrato/magistrata; prefetto/prefetta; avvocato/avvocata; segretario/segretaria, segretario generale/segretaria generale; delegato/delegata; perito/perita; architetto/architetta; medico/medica; chirurgo/chirurga; maresciallo/marescialla; capitano/capitana; colonnello/colonnella. Anche per i nomi composti si può usare il femminile: “pubblica ministera” è corretto, così come “sostituta procuratrice”.

L’Accademia sui nomi in -e

L’Accademia della Crusca ricorda poi che i nomi terminanti in -e non suffissati sono ambigenere, cioè possono essere sia maschili che femminili e affidano l’indicazione del genere all’articolo (e stabiliscono l’accordo di altri elementi: aggettivi, participi): il preside/la preside; il presidente/la presidente; il docente/la docente; il testimone/la testimone; il giudice/la giudice; il sottufficiale/la sottufficiale; il tenente/la tenente; il maggiore/la maggiore. Esempi con aggettivo: il consulente tecnico/la consulente tecnica; il giudice istruttore/la giudice istruttrice. Fanno eccezione forme ormai entrate nello standard come studente/studentessa, professore/professoressa.

Stop a schwa e asterischi, “segni minoritari”

Nel capitolo dal titolo: “Esclusione dei segni eterodossi e conservazione del maschile non marcato per indicare le cariche, quando non siano connesse al nome di chi le ricopre”, il parere dell’Accademia della Crusca afferma che «è da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati.

Va dunque escluso tassativamente l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (Car* amic*).

Lo stesso vale per lo scevà o schwa, l’ǝ dell’alfabeto fonetico internazionale che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, non presente in italiano, ma utilizzata in alcuni dialetti della Penisola (nei quali peraltro non compromette sistematicamente la distinzione di genere tra maschile e femminile, così come quella di numero, tra singolare e plurale)».

Evitare il raddoppio dei generi

Nelle sue raccomandazioni alla Suprema Corte, in base al principio della concisione ai quali si ispira la revisione generale attualmente in corso del linguaggio giuridico, l’Accademia della Crusca spiega che «sono da limitare il più possibile interventi che implichino riferimento raddoppiato ai due generi, espediente pur largamente utilizzabile in contesti di pubblica oratoria e di valenza retorica: intendiamo riferirci al tipo “lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate” e simili. Per evitare questo allungamento della frase si possono scegliere altre forme neutre o generiche, per esempio sostituendo persona a uomo, il personale a i dipendenti ecc.

Maschile plurale “inclusivo”

Quando questo non sia possibile, il maschile plurale “inclusivo” (a differenza del singolare) risulta comunque accettabile». In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, spiega il professore Claudio Marazzini, «lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare». Ugualmente si potrà usare il maschile non marcato quando ci si riferisca in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta. È uno strumento «ben vivo nella lingua – argomenta il presidente – nell’uso comune: Tutti pronti?, Siete arrivati tutti?, Sono tutti sani e salvi. In casi come questi, la reduplicazione, ammissibile nel discorso pubblico, avrebbe effetti comici e inappropriati, specialmente in situazioni familiari o di urgenza. Inoltre, il maschile non marcato è in questi casi inevitabile: se lo si volesse annullare interpretando il maschile in maniera assurdamente rigida, occorrerebbe rivedere tutti i testi scritti italiani, compresi quelli giuridici, occorrerebbe insomma riscrivere milioni di pagine, a cominciare dalla Costituzione della Repubblica, che parla di “cittadini”, senza reduplicare “cittadini e cittadine”, ma intendendo che i diritti dei cittadini sono anche quelli delle cittadine».

Il soprano e la soprano

La secolare Accademia della Crusca, incaricata di custodire il “tesoro” della lingua italiana, sostiene poi che «si manterranno senza problemi i nomi di professione grammaticalmente femminili, ma validi anche per il maschile, come la guardia giurata, la spia, la sentinella, la guida turistica, nonché i nomi grammaticalmente maschili ma validi anche o solo per il femminile, come il membro e il soprano (ma è accettabile anche la soprano)». Per i nomi composti con vice-, pro-, sotto-, sintagmi con vicario, sostituto, aiuto conta il genere della persona che deve portare l’appellativo: se è donna andrà al femminile secondo le regole del sostantivo indicante il ruolo, se è uomo andrà al maschile, senza considerare il genere della persona di cui è vice, vicaria/vicario, sostituta/sostituto. Esempi prosindaco (anche se il sindaco è donna)/prosindaca (anche se il sindaco è un uomo); vicesindaco/vicesindaca; sottoprefetto/sottoprefetta; sostituto procuratore/sostituta procuratrice; prorettore vicario/prorettrice vicaria; aiuto cuoco/aiuto cuoca».

Niente articolo con i cognomi

Un capitolo delle raccomandazioni della Crusca è dedicato all’uso dell’articolo con i cognomi di donne. «Nell’uso generale, non solo in quello giuridico, l’omissione dell’articolo determinativo di fronte al cognome si è negli ultimi anni particolarmente diffusa, non solo nel femminile, ma anche nel maschile, che lo ammetteva, nello standard, nel caso di personaggi celebri del passato (il Manzoni, il Leopardi ecc.). Oggi è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile – scrive l’Accademia – non entriamo nelle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata. Tuttavia, per quanto estemporanea e priva di motivazioni fondate, l’opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto. Osserviamo ancora che, nel caso in cui si ometta l’articolo con preposto al cognome di persone celebri, non si verificano controindicazioni, ma in altri casi si manifesta un’evidente perdita di informazione (“La presenza di Rossi in aula” si riferisce a un uomo o una donna?); quando sia utile dare maggiore chiarezza al genere della persona, sarà sufficiente aggiungerne il nome al cognome, o eventualmente la qualifica (“La presenza di Maria Rossi” o “La presenza della testimone Rossi”)».

20 Marzo 2023
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